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“Mi accorsi che stavo stancandomi più che se fosse stato un romanzo. Lo sforzo di scrivere un racconto breve è intenso quanto cominciare un romanzo. Perché nel primo paragrafo di un romanzo bisogna definire tutto: struttura, tono, stile, ritmo, lunghezza, e talvolta persino il carattere di qualche personaggio. Il resto è piacere di scrivere, il più intimo e solitario che si possa immaginare. Il racconto non ha inizio né fine: viene o non viene.”
G. G. Marquez (Dodici racconti raminghi), 1974
Raymond Carver, un altro grandissimo narratore dei nostri tempi, sosteneva di adorare il salto rapido che c’è in un buon racconto, l’emozione che spesso ha inizio sin dalla prima frase, il senso di bellezza e di mistero che si riscontra nelle migliori storie; e il fatto che il racconto si può scrivere e leggere in una sola seduta.
Se stai leggendo questo contenuto vuol dire che hai voglia di capire di più di questo misterioso mondo che è il racconto.
Abbiamo già affrontato questo argomento qui dando un accurato sguardo alla sua struttura e abbiamo appurato che:
I racconti hanno forme e dimensioni diverse.
Ora di seguito vedremo esattamente quali sono gli step da seguire per scrivere un buon racconto.
Gli scrittori di maggior successo usano un piano di scrittura quasi sempre simile, una volta individuato quello più adatto alle proprie esigenze lo seguono per ogni nuova avventura letteraria.
Adesso vediamo e analizziamo da vicino uno di questi piani di scrittura.
Cerca un’idea per una storia carica di conflitto: sarà questo il motore che guiderà la trama.
Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno per vagliare le idee e scegli quella che ti piacerebbe leggere, quella di cui sei veramente più appassionato. Deve catturarti così tanto che non puoi togliertela dalla testa. Solo questo tipo di idea ti darà la forza di sederti alla tastiera ogni giorno e ti ispirerà a scrivere il racconto che hai sempre sognato.
Se sei un pianificatore allora vuol dire che preferisci mappare tutto prima di iniziare a scrivere. Vuoi conoscere i tuoi personaggi e sapere cosa succede loro dall’inizio alla fine.
Se sei un improvvisatore, al contrario tendi a pianificare poco e scrivere più d’impulso, con un continuo processo di scoperta partendo dal nucleo di un’idea. Come dice Stephen King, “Metti personaggi interessanti in situazioni difficili e scrivi per scoprire cosa succede”.
Molti scrittori sono invece, un po’ ibridi e hanno bisogno di sicurezza
e di uno schema, ma anche della libertà di lasciare che la storia li porti dove vuole. Fai semplicemente ciò che ha più senso per te.
Indipendentemente da ciò è necessaria una qualche forma di struttura per evitare di bruciarsi dopo circa 30 pagine. Anche il più incallito degli improvvisatori non inizia mai un romanzo o un racconto senza avere un’idea di dove sta andando.
Il tuo protagonista deve avere un arco di trasformazione profondo e dinamico, in altre parole, alla fine, dovrà essere una persona diversa e migliore. Ciò significa che deve avere qualità potenzialmente eroiche che devono emergere nel climax. Dovrai avere anche un’antagonista, formidabile e avvincente quanto il tuo eroe.
Per ogni personaggio chiediti:
Per ogni personaggio usa nomi ben distinti, in questo modo il lettore non tenderà a confondersi. Un personaggio forte e memorabile deve essere anche molto credibile. Iniettali di umanità.
Eroico, pieno di iniziativa, moralmente retto e forte? Ovviamente.
Ma il nostro protagonista deve anche affrontare la paura, l’insicurezza, la debolezza interiore. Dai ai tuoi lettori qualcuno con cui possono identificarsi. Immagina i punti di forza, i punti deboli e le insicurezze di ogni personaggio prima di iniziare a scrivere.
Se ti dicessi che alcuni romanzieri di successo non strutturano la loro trama prima di scrivere un romanzo? Stephen King per esempio, e ce ne sono altri. Però per quanto affascinante potrebbe sembrare, ecco il rovescio della medaglia: non sei Stephen King, e ovviamente nemmeno io lo sono.
Il romanziere bestseller Dean Koontz nel suo manuale How to Write Best-Selling Fiction sostiene questo:
“Metti il tuo protagonista in guai terribili il prima possibile. Tutto ciò che il tuo personaggio fa per cercare di uscire da quei guai, non fa che peggiorare ancora le cose, finché la situazione non appare senza speranza. Alla fine, tutto ciò che il tuo eroe impara cercando di uscire dal terribile guaio non fa altro che farlo crescere e maturare”.
Ho letto tanti manuali di scrittura e ciascun autore si diverte a dare nomi diversi alle strutture della storia, ma la sequenza di base è in gran parte sempre simile ed formata da questi elementi:
Il tuo punto di vista (POV) è più che una semplice decisione di quale voce usare: prima persona (io, mio), seconda persona (tu, tuo) o terza persona (lui, lei o essa).
Il punto di vista è un elemento meno evidente e sicuramente meno affascinante rispetto al personaggio o alla trama.
Il punto di vista è un po’ lo sguattero sottopagato della situazione, che lavora sodo ma nessuno se ne accorge. Un abile uso del punto di vista aumenterà l’identificazione del lettore con il personaggio, e intensifica il piacere della lettura. Il punto di vista può cambiare durante il romanzo o rimanere sempre lo stesso.
Inizia il romanzo mentre gli avvenimenti sono già in corso. La cosa importante è che il lettore deve avere la sensazione di trovarsi già nel mezzo degli accadimenti quando inizia a leggere.
Guarda questo bellissimo inizio In Media Res di La Strada di Cormac McCarthy.
Cosa fa funzionare l’inzio In Medias Res ?
È tutto nel gancio.
In genere dopo un inizio in media res l’autore durante la narrazione racconta gli accadimenti precedenti, a ritroso.
È proprio quello che accade in La Strada, per esempio.
Il resto della struttura In Media Res è costituito da:
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Il tuo lavoro come scrittore non è quello di far immaginare ai lettori le cose come le vedi tu, ma d’innescare la loro immaginazione.
Dai loro quel tanto che basta per attivare i loro proiettori mentali. È qui che avviene la magia.
Fai sembrare la situazione senza speranza. Evita di cadere nell’errore di dare al tuo investigatore una bella macchina, un’arma, una ragazza, un appartamento, un ufficio, e un ricco cliente.
Così non ci sarebbe nessuna tensione.
La sua macchina si può guastare, la sua arma si può inceppare, la sua ragazza lo può lasciare, può essere sfrattato, il suo ufficio può bruciare, il suo cliente è al verde. Adesso si vede la differenza?
Porta tutto al culmine. La risoluzione definitiva, il punto più emotivo della tua storia, arriva quando il tuo eroe affronta la sua prova finale. La posta in gioco deve essere altissima, o tutto o niente.
Il conflitto si è costruito pagina per pagina in un continuo crescendo. Ma ricorda, il climax non è la fine. Deve ancora arrivare.
I finali migliori sono quelli che sono guadagnati dai personaggi, non quelli donati dal destino. I finali lieti sono sempre più commerciali dei finali tristi, ma a prescindere da questo, quello che davvero importa non è che il finale sia conforme ai fini commerciali, ma che sia coerente con la premessa che ci siamo dati in principio.
La definizione di racconto secondo V.S. Pritchett è: “qualcosa di intravisto con la coda dell’occhio, di sfuggita”. Prima c’è qualcosa di scorto, poi a quel qualcosa viene dotato di vita e pian piano diventerà parte dell’esperienza stessa del lettore.
Se siamo fortunati tanto come scrittori che come lettori, finiremo l’ultimo paio di righe di un racconto e resteremo poi seduti un momento o due in silenzio.
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Per scrivere un racconto, già più semplice di un romanzo, occorrono diverse componenti essenziali. Per chi, come me, si accinge a scriverne uno per la prima volta, è necessario anzitutto liberare la propria scrivania, capire bene cosa gli occorre per scrivere per il suo progetto e quindi mettersi al lavoro per scoprire dove competenze acquisite e creatività riescono a portarlo. In questa prima fase, trovo che i consigli di Donato rendano tutto più semplice, guidano verso la luce, come quelli di Virgilio nella Commedia di Dante.
ciao Giuseppe, non c’era bisogno di scomodare paragoni troppo eclatanti, nel mio piccolo mi basta sapere che i miei contenuti possono essere d’aiuto e se per te lo sono stati sono veramente contento!
Ciao Donato, quello che dice King è nelle mie corde. Trovo che sia appassionante scrivere, per poi vedere cosa accade alla fine. Creare personaggi, e lasciare a loro lo scorrere della storia. Offri sempre spunti interessanti, grazie.
ciao Claudia! Si bisogna trovare quello che è più adatto alle nostre corde e non mollare!
Grazie Donato per il tuo articolo così interessante e invitante. Sarà meglio lasciare per un po’ la lettura e ricominciare a scrivere, ma prima di farlo mi fermo con te proprio sulla punteggiatura.
Ebbene sì, caro Donato, ne riconosco l’importanza e cerco di mettere i miei punti al posto giusto, preferendo spesso i puntini di sospensione e il punto esclamativo.
E pensare che questi due segni di interpunzione, dopo aver toccato lo zenith della loro diffusione nell’età romantica, non sono visti con simpatia dai narratori moderni, in quanto “I puntini di sospensione vengono associati al ricatto sentimentale della reticenza, della allusività e della elusività. E il punto esclamativo al retaggio di un’enfasi declamatoria.”
Io concordo con Pontiggia quando afferma che “Queste scelte ortografiche credo rispondano ad una esigenza profonda: di dare pathos alla speculazione, di fonderla con gli echi della emozione, di amplificarla nelle sue risonanze interiori.”(G.Pontiggia, Prima persona, pp.105-106)
Forse però è il caso di non abusarne, come accade in “Cosa resta di noi” (G.Simi,):
“I puntini di sospensione erano stesi a dozzine come fori delle pallottole di una mitragliatrice. Ma a lei dev’essere sembrato il massimo di sciccheria sentimentale”.
Prolissa come sempre, ti saluto augurandoti buon lavoro.
A presto
ciao Maria Teresa, grazie come sempre perché i tuoi commenti aggiungono tutto il valore che manca ai miei contenuti. Continua a seguirmi.
un saluto e a presto