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Scegliere il font migliore per scrivere un romanzo non è così semplice. Nel self publishing, la libertà di non avere un editore alle spalle consente agli autori di scegliere il font da sé, spesso con grossolani errori di valutazione.
Ma fare la scelta giusta è fondamentale. Questo per una serie di motivi più o meno evidenti che andremo ad approfondire nelle prossime righe.
Prima però una premessa.
Nella scrittura si lascia molto spazio alla soggettività, quindi ai gusti personali e alle esigenze private di autori e lettori. Non esiste un tipo di scrittura perfetto, non esiste il libro perfetto, non esiste una storia oggettivamente bella o brutta.
Quando si entra negli aspetti più tecnici di un libro, però, inizia a far capolino addirittura la ricerca scientifica.
In ogni caso il font è come un vestito da cucire su misura, non esiste uno che possa andare bene per qualunque tipo di libro, di qualunque formato, ma alcune regole comuni ci sono.
In fin dei conti chi pubblica un libro lo fa per essere letto, per lasciare qualcosa di sé agli altri, più che per se stesso. Un obiettivo difficile da raggiungere se il libro è scritto interamente in Old English.
Ma nel concreto, quali criteri devi utilizzare per la scelta del font?
Ce n’è uno in particolare che deve guidare le tue decisioni.
Sembra inutile dirlo ma la leggibilità di un testo è un argomento tutt’altro che banale. Il tuo lettore deve essere in grado di leggere il tuo libro instancabilmente, divorare pagine su pagine senza mai accorgersi del font che hai usato.
Se dopo due o tre pagine il tuo lettore si strofina gli occhi per la stanchezza o se deve avvicinare troppo le pagine al volto per riuscire a distinguere le parole, mollerà il libro dopo pochi minuti di lettura, probabilmente senza più riprenderlo in mano.
La lingua inglese ha due termini differenti per esprimere la leggibilità di un testo.
Diventa chiara, dunque, l’importanza della leggibilità di un testo in tutte le sue sfumature di significato, la quale influisce molto sulla comprensione del testo.
Ci sono, dunque, font più leggibili di altri?
La risposta è certamente sì se consideriamo tutti i tipi di font esistenti, come quelli calligrafici, quelli gotici, quelli artistici ecc. Ma se ci concentriamo sui font per la scrittura, che sono il tema di questo articolo, il discorso si complica un po’.
La domanda delle domande è: meglio un font con o senza le grazie?
Siamo di fronte ad un grande confronto i cui primi colpi si registrano già negli anni ’30 con gli studi sui fattori tipografici che influenzano la velocità nella lettura di Miles Albert Tinker e Donald G. Paterson.
Sono due nomi sconosciuti ai più, ma a loro si deve la spinta verso la standardizzazione delle norme tipografiche nell’editoria statunitense grazie ai loro innovativi studi sulla leggibilità.
Senza annoiare troppo sulla storia di questo importante dibattito, decenni di ricerche sono arrivati a non trovare una così netta differenza da rendere un tipo di font inequivocabilmente da scartare rispetto all’altro.
La consuetudine, tuttavia, ha portato all’uso dei caratteri sans-serif soprattutto in ambito web. Potrai notare come la maggior parte dei siti internet utilizzi caratteri senza grazie, con un maggiore impatto visivo su schermo.
CURIOSITÀ: I siti istituzionali italiani utilizzano il Titillium Web, realizzato all’Accademia di Belle Arti di Urbino e disponibile come Google Font.
Al contrario per la carta stampata si utilizza prevalentemente il carattere con le grazie.
Come scrivevo all’inizio non esiste un font che vada bene per tutto, ma ci sono alcuni più consigliati di altri a seconda del tipo di libro che stai scrivendo.
Prendiamo ad esempio una rivista, o un catalogo. Sono pubblicazioni ad alto impatto visivo, ricchi di immagini. Il testo è in secondo piano rispetto alle immagini, le pagine si possono sfogliare senza leggere neanche una singola riga.
Per questo motivo serve un font semplice, immediato, che possa essere letto facilmente. Nel 1931, per facilitare la leggibilità delle pagine del Times è stato inventato il Times New Roman.
Non è quindi necessario spingersi verso font strani ed esotici quando esiste il Times New Roman pre-installato su tutti i pc moderni o meno.
Il font che usi per scrivere il tuo libro determina il tuo tono di voce.
Saggi e pubblicazioni scientifiche sono caratterizzate da uno stile di scrittura professionale. In questi casi, quindi è opportuno scegliere un font più elegante.
Uno tra i nostri preferiti è il Palatino. Un font serif elegante ed autorevole da cui sono derivate alcune versioni che sono preinstallate in diversi dispositivi o distribuite con software di scrittura come Word.
È molto probabile, quindi, che troverai preinstallato sul tuo pc o Mac il Palatino Lynotipe o il Book Antiqua, entrambi appartenenti alla famiglia del Palatino.
Qui la scelta è ampia e spesso viene demandata ai gusti personali, cosa non sempre positiva e consigliabile.
Il nostro consiglio qui è andare sul sicuro scegliendo il Simoncini Garamond. Questo font è lo standard della grande editoria italiana.
Facci caso, quasi tutti i libri pubblicati in Italia sono scritti in Simoncini Garamond. Feltrinelli, Einaudi, Bompiani, usano tutti questo font.
Validissime alternative possono essere il Baskerville (usato da Adelphi) e il Cardo.
Anche in questo caso dipende dal font e dal formato del libro.
Tendenzialmente il limite di leggibilità per un libro è un corpo del font 8-9, ma questo vuol dire mette a dura prova gli occhi del lettore.
Ci sono alcuni font che, a parità di dimensione del corpo del carattere, sono più grandi o più piccoli di altri. Per esempio il Garamond è leggermente più piccolo del Palatino Linotype.
Quello che consigliamo in base alla nostra esperienza è di restare tra gli 11 e i 14.
La risposta è si, ma meglio di no.
Al massimo puoi usarne due, non di più, ma solo se strettamente necessario.
Ti faccio un esempio.
Se nel tuo libro un personaggio sta leggendo della corrispondenza, o magari un articolo di giornale o ancora un annuncio affisso su un muro, quello che vi è scritto sopra può essere scritto con un font diverso, proprio per identificarlo e distinguerlo dal resto della narrazione.
Utilizzare due o più font nel normale svolgimento della narrazione, invece, può soltanto disturbare l’attenzione del lettore.
Un errore che vediamo spesso è quello di usare un font diverso per i dialoghi, per esempio. Ed è sbagliatissimo.
Questo è un aspetto a cui fare molta attenzione soprattutto nel self publishing, dove non c’è un editore alle spalle. Nell’editoria tradizionale, per fortuna, accade molto raramente e solo se c’è un giustificato motivo come, per esempio, in libri di “letteratura ergodica”, di cui abbiamo parlato nell’articolo dedicato alla riedizione di Casa di Foglie.
I font sono una cosa seria, molto seria. Fanno parte della nostra storia e rappresentano il nostro modo di esprimerci attraverso la scrittura. I font li tramanderemo per secoli così come per secoli sono sopravvissuti fino ad oggi.
CURIOSITÀ: uno dei font più antichi ancora usati oggi è il Bembo, creato attorno al 1495 e rivisitato dalla Monotype Corporation nel biennio 1928-29. tutt’ora utilizzato soprattutto nell’editoria britannica.
Ecco perché sono certo che lo stigma di font più odiati al mondo, il Comic Sans e il Papyrus, se lo porteranno dietro per molto, molto tempo.
Eppure sono nati con una logica dietro ben precisa e con degli scopi piuttosto chiari.
Il Comic Sans, forse il più odiato dei due, è stato creato dal designer Vincent Connare per l’interfaccia grafica semplificata di Windows 3.1 e Windows 95. Questa interfaccia prevedeva un cagnolino che dava istruzioni all’utente tramite un fumetto scritto in Times New Roman.
Ma un cagnolino non poteva certamente parlare in Times New Roman, serviva un font più arrotondato e appropriato per un fumetto.
Torniamo indietro al 1982, quando il designer Chris Costello si chiese che aspetto avrebbe avuto un font scritto nel medio oriente di un paio di millenni fa. Qualche mese dopo veniva alla luce il Papyrus.
Arriviamo alle soglie del 2000 quando entrambi i font iniziarono ad essere per-installati in tutti i computer e a venire utilizzati per tutti gli scopi, anche i più impensabili. Comic Sans e Papyrus in presentazioni power point, in contesti aziendali, perfino usati in contratti, curriculum, cartelloni pubblicitari e loghi aziendali.
Tutto questo per dire cosa? Il font va usato sempre coerentemente con il mezzo su cui lo si usa.
Un libro deve essere letto da quante più persone possibile. Quindi deve essere leggibile, accogliente, “comodo”, appropriato.
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Salve, penso che il font usato debba essere lo specchio dell’argomento trattato. Non dimentichiamo, però, che anche una maggiore interlinea ha la sua importanza. La lettura deve essere un momento di distensione, anche per gli occhi.
Verissimo, la chiave di tutto è proprio dare un’esperienza di lettura non affaticante né per l’occhio, né per il cervello
Ritengo sia indispensabile la forma ma sopra tutto poter leggere speditamente senza affaticare l’occhio.
Per quanto riguarda il font ritengo vada scelto in base al tipo di opera si voglia proporre.
Il font di una poesia sarà quindi diverso da quello di un romanzo, rivista o quotidiano.
Ciao Rossella, il font deve essere sempre e solo leggibile, che sia un romanzo o una poesia o ancora un saggio. Consigliamo sempre:
come misura sicuramente non scendere mai sotto il 10 e possibilmente non superiore mai i 14 pt.
Come font ce ne sono tanti: il garamond è uno dei più usati, ma chi desidera un font più elegante usa il Palatino, chi invece vuole qualcosa di più standard può scegliere anche il Times New Roman, a volte anche il Cambria.