Il se vuole sempre il congiuntivo? Teoria, esempi, trucchi per ricordare
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Diversamente da come pensano molte persone l’italiano non è la lingua con più parole in assoluto. Al contrario, si assesta in una fascia intermedia con circa 150.000 vocaboli attivi, molti dei quali relegati ad ambiti tecnici, come la giurisprudenza e la medicina e praticamente sconosciuti ai più.
L’inglese è una lingua con molti più termini, con una discreta fetta che è stata inglobata relativamente di recente da altre lingue ed è entrata a far parte del lessico. Questo idioma, per esempio, vanta quasi 500.000 termini, anche se quelli effettivamente utilizzati sono poco più di 170.000, mentre il francese ne ha appena 100.000 circa.
Anche il tedesco ci supera nei numeri. Tuttavia, per uno straniero e anche per un nativo, avere a che fare con la grammatica italiana, con le sue regole ed eccezioni può risultare un’impresa davvero molto impegnativa.
Infatti in alcuni casi le eccezioni, i verbi irregolari e i plurali doppi sembrano non seguire una regola logica condivisa e intuitiva e in alcuni casi la loro genesi è piuttosto strana, con termini che entrano ed escono dall’italiano vivo, diventano letterari pur provenendo dal registro basso oppure esprimono concetti differenti ma analoghi.
Le eccezioni con i plurali doppi in realtà non sono tantissime, ma in molti casi si trovano usate a sproposito, scambiando le parole con la conseguente confusione di significato. Nella maggior parte dei casi l’origine dei sostantivi doppi è consuetudinaria, ma in altri, soprattutto con quelli composti, si tratta di una difficoltà nel coordinamento genere e numero, come nel caso di agriturismo e agriturismi, con la seconda voce ufficializzata come plurale dall’Accademia della Crusca, massima autorità linguistica per l’italiano.
Nel nostro idioma corrente le regole per la formazione del plurale dei sostantivi sono piuttosto facili. Se è femminile e finisce in -a il plurale è -e, per esempio gatta/gatte, patata/patate, mentre se è maschile in -o il plurale è in -i le desinenze quindi sono chiaramente e univocamente fissate.
Bisogna considerare il fatto che alcune parole maschili finiscono in -e, in questo caso la regola vuole che il loro plurale si formi con la desinenza -i come prete/preti, esattamente seguendo la regola.
Il problema reale è che nel passaggio dal latino, quasi tutti i termini con plurale doppio hanno radici strettamente derivanti da questa lingua, c’è stato a volte un cambiamento di genere, ad esempio per quanto riguarda le piante, visto che gli alberi una volta erano tutti declinati al femminile.
Inoltre, in latino, alcune parole in -o non sono maschili per via di radici greche, ma per fortuna quasi tutti i termini che hanno questo problema sono spariti da molto tempo dal vocabolario comune e le loro rare comparse sono esclusive di opere ampollose del periodo barocco.
I sostantivi con i plurali doppi o sovrabbondanti possono dare filo da torcere a chi non è particolarmente esperto della lingua, oppure si trova nel dubbio volendo esprimere un concetto senza ambiguità o rischiare di fare brutte figure.
La lista non è lunghissima e quindi è conveniente elencarli tutti, specificando anche il significato per chiarire le differenze a volte cruciali tra l’uso del plurale in -i, -e oppure in -a.
Fin qua la tabella dovrebbe risultare abbastanza chiara e lineare. Tuttavia nell’uso comune alcuni plurali vengono scherzosamente scambiati e si trovano però riportati nella forma invertita, anche in testi scritti. È il caso di cervella, perché quando si parla di uno sforzo di pensiero vano si possono usare locuzioni come: spremersi le cervella sfinirsi le cervella o bruciarsi le cervella.
In questo caso si fa riferimento al fatto che visto che non si trova una soluzione per la questione, al massimo l’organo può essere utilizzato come ingrediente di una ricetta in cucina.
L’italiano non è una lingua molto agglutinante rispetto a quelle germaniche e anglosassoni, per esempio, ma presenta diversi termini che sono ottenuti per fusione e che presentano uno degli elementi costituenti indeclinabili. Un esempio è oro in pomodoro, che per convenzione è stato riportato alla forma standard regolare, quindi pomodori e non pomidoro, esistente, raro e possibilmente da non usare nella lingua moderna.
Però l’ambiguità nelle parole che hanno il singolare maschile e i plurali con generi differenti si perde sempre. Ad esempio il sopracciglio può diventare le sopracciglia o i sopraccigli senza dare problemi di nessun tipo. Anche altri termini possono essere composti o assemblati con entrambe le forme di desinenza senza perdere significato.
Discorso a parte meriterebbero parole che hanno la radice identica e differiscono soltanto per l’ultima lettera cioè hanno singolare maschile e femminile con significati analoghi ma non sovrapponibili, ad esempio gambo e gamba che rispettivamente hanno come plurale gambi e gambe. In questo caso l’ambiguità è quasi sempre risolta dal contesto.
Bisogna prestare comunque attenzione all’uso, perché ad esempio i tavoli e le sedie hanno le gambe mentre lo sgabello ha il gambo se possiede un solo sostegno o le gambe se ne ha più d’uno. Quindi non si può sempre usare una regola intuitiva.
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Nella lingua italiana ci sono alcune forme ambigue e doppie, soprattutto per quanto riguarda le parole composte. Bisogna prestare molta attenzione all’utilizzo di alcuni termini, perché il loro significato cambia completamente e vanno saputi di conoscere per non rischiare brutte figure.
Il tuo vocabolario dovrebbe essere il più ricco possibile e poter contare su molti sinonimi. Puoi utilizzare locuzioni, soluzioni sintattiche poco usuali ma molto eleganti ed espressioni particolari per variare e toglierti d’impiccio.
Nel caso di dubbio, se per un qualche motivo dovresti trovarti ad aver bisogno di utilizzare uno dei termini con il plurale doppio, con la lista sopra riportata non avrai più problemi.
Per i sostantivi femminili che terminano in -a, il plurale si forma in -e. Per quelli maschili che terminano in -o, il plurale è in -i. Alcuni sostantivi maschili che terminano in -e formano il plurale con -i. Tuttavia, ci sono eccezioni e particolarità che derivano dalla transizione dal latino all’italiano.
Sì, l’italiano presenta termini composti che possono avere plurali ambigui. Ad esempio, “pomodoro” diventa “pomodori”, non “pomidoro”. Bisogna prestare attenzione all’uso dei plurali per evitare errori di significato.
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