
Il se vuole sempre il congiuntivo? Teoria, esempi, trucchi per ricordare
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Dopo avere discusso dell’incipit, argomento sul quale torneremo a occuparci in futuro, affrontiamo un discorso sul “genere letterario”, ricordandoci sempre che l’obiettivo di questa miniguida è quello di offrire strumenti per l’editing a prescindere dalla scrittura.
Ciò vuol dire che queste lezioni danno suggerimenti per un approccio del testo che segue, in termini temporali, la stesura creativa dello stesso. Chi si occupa di editing è infatti abituato a confrontarsi con testi che – nel caso che l’editor di turno sia anche scrittore – si allontanano dal proprio genere di appartenenza.
Che cos’è un genere?
Il genere è la categoria alla quale si può ascrivere l’appartenenza di un testo, al giorno d’oggi più per una comodità commerciale imposta dai piani di programmazione editoriale o dalla collocazione in libreria, più che da una reale esigenza artistica insita nella produzione artistica. Iniziamo a valutare le ipotesi che depongono a sfavore della scelta a priori di un genere letterario. Basta fare alcuni esempi illustri per accorgersi di quanto la vera opera d’arte letteraria sia difficilmente ascrivibile a un genere. “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust, o “Contronatura” (Bompiani) di Massimiliano Parente, o ancora “Troppi paradisi” (Einaudi) di Walter Siti, possono essere considerati ‘autobiografie’?
E ancora, per parlare di un best-seller, “Il Codice Da Vinci” di Dan Brown, può essere considerato più un romanzo di avventura, un thriller o una spy-story? Lo stesso dicasi ad esempio per romanzi come “American Tabloid” di James Ellroy, si tratta di spy-novel o di letteratura tout-court? “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry, è una fiaba o un libro universale? Per non parlare della fantascienza, dove autori come Isaac Asimov, Stanislaw Lem o Philip K. Dick sono divenuti classici della letteratura, a prescindere dal fatto che si siano occupati di un genere; lo stesso accade nel ‘genere’ Fantasy.
Come si può quindi intendere la scelta di un genere è un passo che a conti fatti si rivela più difficile di quanto non sembri. Di solito un autore ha in mente una storia, inizia a scriverla, dopo qualche pagina può scoprire che questa storia appartiene o no a un genere. L’esperienza dimostra che un certo genere specifico può destare l’interesse in una specifica nicchia di lettori, ma a monte dovrebbe esserci sempre l’intenzione dell’autore nel comunicare il proprio messaggio in un determinato stile e scegliendo un genere determinato. Le letture infatti spesso condizionano l’autore più di quanto esso non creda.
Thriller psicologico, thriller a sfondo storico+religioso con rivelazioni di tipo apocalittico, storie di vampiri, romanzi storici, ecco qualche genere che negli ultimi anni ci si trova ad affrontare con sempre più frequenza. Così come succede, a ridosso del centocinquantenario dell’Unità d’Italia, di imbattersi in romanzi a sfondo storico ambientati tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.
Per quanto riguarda il genere non esiste una regola, saranno alcuni elementi, tra cui ad esempio lo stile, la trama, la costruzione del personaggio e la ricostruzione dell’ambiente a far comprendere, in fase di editing, se ci si trova di fronte all’ennesimo ‘calco’ dell’originale piuttosto che davanti a un’opera compiuta e, soprattutto, necessaria, nel percorso dello scrittore così come nel percorso del lettore. Nella fase di editing ci si pone spesso una domanda ovvero sia, è l’autore che con consapevolezza di scrittura ha scelto di esprimersi in un genere oppure sono le condizioni attorno all’autore, che in un modo o nell’altro, hanno suggerito il genere di espressione allo stesso?
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Il problema del “genere” preoccupa gli studiosi di letteratura da secoli tanto nella sua definizione, quanto nella sua suddivisione.
Al di là di queste analisi che hanno riempito le mie giornate da universitaria è da qualche tempo che ho cominciato una strana collezione: cataloghi di case editrici. Ebbene sì. C’è chi colleziona farfalle, tazze, bicchieri della nutella..io cataloghi di case editrici. Lo consiglio, è anche una passione economica dato che sono gratuiti (alla faccia della crisi).
E’ interessante notare come le case editrici tendano ad abbandonare la classica organizzazione in generi letterari del proprio parco libri per darsi ad una classificazione che bene chiarifica quella che è la linea editoriale perseguita.
Sfoglio a caso il Catalogo Oscar Mondadori 2011, un volume enorme che colpisce per alcune scelte estetiche: pagine a colori, i volti degli autori spesso a (quasi) tutta pagina, citazioni da libri (quarte di copertina o recensioni)…non solo libri quindi, ma anche tutto ciò che ruota attorno al mondo del libro.
Qui, accanto ai canonici gialli, poesia, storia, varia, saggi, classici e grandi classici, vi sono anche catalogazioni assai bizzarre: saggezze, nuovi misteri, classici moderni, lo specchio (?), bestseller e grandi bestsellers, bestsellers emozioni e addirittura “per negati”, contenente le traduzioni della famosa collana “for dummies”.
Guardare questi piccoli dettagli aiuta a capire qual è lo spirito di una casa editrice, ma di certo non coinvolge più di tanto l’utente finale, il lettore che acquista il libro in libreria o sul sito: chi mai metterebbe ad esempio Piero Angela tra i bestseller accanto a un Dan Brown se non qualcuno di interno al settore che sa quanto è stato venduto?
Secondo me ha senso parlare di “genere” anche oggi perché può essere indicativo per sommi capi di quello che un lettore può aspettarsi da un libro. Ovvio che un libro non può essere riassunto in una parola e con la “contaminazione o meglio compenetrazione di generi diversi” la faccenda si complica, ma una distinzione va presentata. Almeno tra libri di cucina e libri splatter: dove mettiamo ad esempio il libro (titolo inventato) “Il tritacarne”?
Per quanto riguarda il momento di editing sono convinta che il contributo del redattore accanto all’autore possa contribuire in maniera più precisa alla determinazione di un genere. E’ un lavoro di squadra: un occhio dall’interno e uno dall’esterno per una visione a 360°.
Cara Emma,
non sei l’unica collezionatrice di cataloghi, anche io ne ho diverse decine. Il genere è un discorso affascinante nell’editing, difatti nell’affrontare il testo di una autore spesso ci si accorge che l’autore stesso è inconsapevole di avere intrapreso la scrittura di qualcosa che appartiene a un determinato genere. Per non parlare del lettore, c’è quello che è appassionato di un genere che ‘ama’ scovare i luoghi comuni di appartenenza a un genere, per vedere come l’autore è riuscito a metterli in pratica discostandosene e creando una propria strada. Poi c’è il lettore che attraversa tutti i genere e, di fronte a un genere particolare, resta affascinato di come tutto si sussegua in modo preciso, senza accorgersi che si tratta di una sorta di esecuzione per ‘tappe’ obbligate. Insomma, ci sono tanti punti di vista; dal punto di vista dell’editing ciò che importa è scovare l’originalità, come in tutte le forme artistiche, penso alla pittura, si può essere geni, artisti, meri esecutori di una tecnica; tutti questi livelli a volte sono compatibili nella stessa persona; certo è che anche nel genere i migliori sono quelli che riescono a tramutare le cose senza stravolgerle, creando un nuovo punto di vista, nel giallo penso a Simenon/Maigret, ad esempio. Io sono dell’idea che il genere sia un concetto nomadico, qualcosa da attraversare senza restarci imbrigliati, da utilizzare quando serve come appoggio per poi fuggirlo; ma questa è l’opinione personale di quando mi metto a scrivere le mie cose 🙂
alla prossima
ciao!
Come non darvi ragione. Il genere rappresenta un territorio non definitivo, senza dogane, nè sanzioni. Credo che valga molto di più per il lettore che per l’autore.
Lo scrittore non ha bisogno di conoscere il genere per definire un intreccio o un carattere ma il lettore, spesso, ne fa uno strumento di orientamento nell’universo editoriale.
Quindi concordo: il genere come bussola e non come schema.
Questione affascinante ma per chi si avvicina alla scrittura, per me, secondaria. Nel mio caso non colleziono i cataloghi ma mi limito soltanto a leggiucchiarli e a spulciarli per vedere se un libro con pubblicazioni diverse cambia “genere” o no.
Negli ultimi anni mi è capitato spesso di leggere inediti o romanzi di nuovi scrittori, un po’ per amicizia e un po’ proprio per curiosità e devo dire che solo raramente mi è capitato di concordare con il genere a cui ascrivono i loro lavori. C’è chi scrive gialli e si dichiara thrillerista e chi invece scrive romanzi che io riconduco al genere noir.
I generi oggi hanno confini così labili che spesso è difficile rimanere in uno solo. Se dovessi consigliare ad un amico un genere gli direi “scrivi tutta la storia senza dirmi una parola. Poi la rileggiamo insieme e decidiamo a che genere appartiene.” Questo perché non è il genere a dover muovere la nostra penna, bensì la storia.
La visualizzazione del genere potrebbe portare alla fine a scrivere una storia con caratteristiche che appartengano allo stesso, portando in secondo piano la storia stessa. E il voler appartenere ad un genere, anche se non è il nostro, potrebbe rovinare la *percezione* che il lettore ha del nostro lavoro. Faccio un esempio se compro un thriller mi aspetto un racconto che abbia un livello di tensione crescente fino al punto clou della storia e successivamente una parabola discendente fino alla fine (che non è mai troppo lunga ma si risolve sempre al massimo in una 50ina di pagine). Se però ho acquistato un libro che è in quella categoria ma è un giallo il punto clou non sarà svettante come quello del thriller, perché un giallo nella sua struttura è più riflessivo e costruisce le prove insieme all’azione d’indagine. Quindi la mia percezione sarà un thriller mancato o una categorizzazione errata.
Ora secondo quanto detto sopra, se e quando ci si avvicina alla scrittura, bisogna uscire dallo stereotipo dello *scrittore* e calarsi in quella di colui che narra indipendentemente dal genere a cui si vorrebbe appartenere. E’ in fondo la storia, quando è scritta e finita, che decide che cosa diventare, noi siamo solo dei tramiti per riprodurla in un linguaggio che arrivi ai lettori.
Buona serata, Simona 😉