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Hai una casa. Un letto. Del cibo in frigorifero. Una tv e uno smartphone. Delle persone a cui vuoi bene e forse (si spera sempre) anche un lavoro.
Non ti manca niente.
Cosa ti manca? Perché stai storcendo il naso? All’elenco sicuramente possono mancare altri elementi, per esempio potresti anche possedere un auto, una bici, forse una moto, vivi a pochi passi dalla farmacia o dal centro commerciale.
Non ti manca niente.
Ma non capisco perché ogni volta che leggi non ti manca niente pensi che diamine ne sai tu? Pensi che non è vero, perché di cose te ne mancano eccome.
Mi fai un elenco? Lo aspetto nei commenti.
Ma poi ritorna a leggere.
Ti aspetto.
Fatto?
Proseguo.
Citazione, non la conoscevo a memoria e l’ho letta ieri mattina, è da questa che mi è scaturito il contenuto che stai leggendo.
L’essenza della realtà è la scarsità. Una penuria universale ed eterna.
Jean Paul Sartre
Per vivere non basta ciò che c’è in questo mondo, non ci basta il cibo, non basta l’amore, non basta la giustizia e non basta mai il tempo.
Ci sono antasettemila manuali su come ottimizzare il proprio tempo. Risorsa finita e dall’inestimabile valore. Perché a scuola non ci insegnano a gestire il tempo?
Ma comunque anche dopo aver letto tutti i manuali sono quasi certo che la sensazione che continua non a bastare rimane.
Sai perché hai la sensazione che ti manca sempre qualcosa? Perché viviamo sempre questo conflitto su quello che abbiamo e quello che vorremmo avere?
Perchè siamo vivi, essere vivi vuol dire essere perennemente in conflitto. L’essenza della realtà è la scarsità.
Se, per esempio, riusciamo a soddisfare un qualsiasi nostro desiderio e plachiamo per un istante il conflitto e la sensazione di mancanza, allora cosa succede? Che l’armonia trovata presto, molto presto, si trasforma in noia.
Ecco che Sartre ha ragione al 100%, perché la scarsità di cui lui parla è l’assenza stessa del conflitto, la noia.
Non dobbiamo più soffrire il freddo e ripararci con pellicce di pecora, non dobbiamo più abbandonare la caverna per cacciare ed esporci a rischi vitali prima di ogni pasto, abbiamo tutto e l’abbiamo subito. Qui e ora.
Questa è la vita. Questo vuol dire essere vivi. La scrittura di un libro è questo. Vuol dire replicare la vita, le sue dinamiche, vuol dire applicare conflitti, applicare scarsità, mancanze.
Mckee dice che il conflitto sta alla narrazione come il suono alla musica. Cos’altro possiamo aggiungere?
Questo del conflitto è un concetto fondamentale, che abbiamo già trattato in questo blog da un’altra angolatura. Puoi leggerlo qui.
Fin quando il conflitto impegna la nostra mente, per esempio, quando leggiamo un libro, allora il tempo passa in fretta, scorre via fluido.
In una storia (come nella mia vita, o la tua), la qualità del conflitto cambia, quello che non cambia è quantità di conflitto che è sempre constante per tutta la vita.
Ci manca sempre qualcosa.
È come in un palloncino pieno d’acqua, tu lo schiacci ma la quantità di acqua è sempre la stessa, solo che si sposta.
La vita è conflitto e lo scrittore, tu, io, deve decidere dove e come orchestrare questa lotta. Non solo, ma anche fare in modo di costruire progressivamente il conflitto portandolo fino alle sue estreme conseguenze.
Possiamo e dobbiamo inscenare i conflitti nei nostri personaggi, e possiamo farlo a livello interno e personale o extrapersonale, oppure su entrambi contemporaneamente.
James Bond è solo conflitto extrapersonale.
Harry Potter è conflitto sia intra che extra.
Cenerentola è conflitto sia intra che extra.
Per dare la giusta rotondità alla storia è bene esplorare i conflitti sia interni che esterni dei personaggi, come del resto avviene nella vita.
Dobbiamo ricordarci sempre che scrivere non è altro che il tentativo di creare nuovi mondi. Le cui regole però non sono nuove. Sono quelle che già tutti conosciamo, quelle che viviamo ogni giorno con la nostra vita.
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Ciao,
a me manca tanto, ma veramente tanto, la possibilità di scrivere senza limiti, finché non svengo sulla tastiera, ma forse il poco spazio che mi ritaglio nella giornta mi aiuta ad essere più concentrato. Purtroppo appena “divento il protagonista”, è ora di smettere.
Non esattamente. Anche in Sartre, che da questa posizione va, poi, in una seconda, diciamo più gioiosa, tanto per capirci. E diventa che non è che ci manca qualcosa, fatto negativo, ma che noi vogliamo di più (non in senso quantitativo), ovvero vogliamo andare oltre. Dall’in-sé al per-sé. E questo oltre, questo per-sé sarà, per Sartre, “essere con” ovvero essere (e fare, partecipare) con gli altri (che in un primo momento erano stati definiti l’inferno “L’inferno sono gli altri”).
Si ribalta il concetto, da esseri che mancano a esseri che vogliono compiersi.
Ugualmente, in Deleuze, il desiderio non sarà mancanza, o dato dalla mancanza, ma progetto per realizzare quello che ancora non c’è. Che sembra essere mancanza, ma, appunto, non lo è. E’ il frutto a farsi. A dover fare.
Sicuramente il desiderio del frutto da farsi e’ una metafora valida per comprendere quel tipo di citazione.
Seguo le newsletter e approfitto di questo articolo che usa citazioni simili a o forse derivate dalla logica dell’antico libro di Taoismo che io ho gia’ pubblicato tramite voi e che sto’ ritraducendo per lasciare solo un’edizione definitiva…
nel capitolo 2 ho tradotto caratteri cinesi simili alla citaziine di McKee che io interpreterei cosi’: ” Il conflitto sta alla narrazione, come il rumore sta alla musica percepita da un orecchio (耳 er).
anche la frase di Jean Paul Sartre e’ una tipica logica che ho tradotto e credo si riferisca a quel mistero eterno che essendo un mistero universale io lascerei immaginare cosa sia all’immaginazione del lettore, ma comunque io credo che sia riferito al principio della vita (piu’ caratteri cinesi in rapporto etimologico o di assonanza simile) e non alla condanna del superfluo e del benessere.
mi manca una maggiore visibilità e un maggiore successo come scrittore, in realtà vorrei anche un poco più di attenzione da aprte dei miei figli, ma la prima cosa è quella al momento più importante
Ciao Raffaele, cosa stai facendo attualmente per coltivare la tua visibilità?
La mia età è di quasi82 anni, ho avuto degli accidenti ed ogni tanto cado a terra,. Mi manca la svelte svel sveltezza che avevo negli anni passati. Mi manca il tempo di pubblicizzarmi, perchè mi piace preparare cose per altri. <i miei libri li scrivo per gli amici ed a loro li presento. Ma ormai devo cercare aiuto per le presesentazioni perchè non ho più gambe e quindi anche l'auto bloccata, peccato avrei potuto usarla per un anno ancora. Patente di 61 anni. Ma tra un po' cambierò vita. In mezzo ad altri anziani racconterò favole ad altri anziani
Ciao Graziella, raccontare favole credo sia una delle attività più belle e più leggere di sempre. Al di là di chi siano i nostri uditori, al di là della loro età, le favole ci fanno viaggiare, insegnano sempre qualcosa, ci aprono a prospettive di pensiero nuove. Hai tanto da dare!
Nella vita non posso dire che mi manchi qualcosa, economicamente sto bene, nonostante tutto qualcosa manca ugualmente. Ogni volta che raggiungi un obiettivo, o una tappa della vita si conclude devi necessariamente cominciare un’altra sfida, un’altra conquista, perché non puoi fermarti, diversamente mi sentirei a disagio e insoddisfatto. La cosa che temo di più è il tempo, perché non sai se ti permetterà di portare a termine i tuoi desideri e ti lascia incertezza, inquietudine. Quello che mi manca è di non essere sicuro di poterlo fermare nel punto in cui mi permetterà di realizzare la mia nuova idea, il mio nuovo desiderio, il mio nuovo obiettivo.
Mi fa riflettere il tuo commento Massimo, perché questa sensazione di mancanza è anche la mia. E credo di molti. Siamo vittime del tempo che corre e di una società basata sulla performance e sul perenne bisogno di produrre, consumare e fruire di quante più esperienze possibili. Dovremmo riapprendere l’arte di rinunciare a qualcosa e di prendersi cura (ma bene) del “poco” è fondamentale per vivere in maniera più sostenibile.