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In questo articolo, come si può desumere dal titolo, introdurremo alcuni elementi inerenti i dialoghi, la loro struttura, alcune caratteristiche precise e vari consigli che possono tornare utili in più di un’occasione.
Iniziamo con le cose più semplici e a detta di molti banali che però necessitano d’essere trattati: capita infatti di trovare spesso scrittori alle prime armi o aspiranti tali che, non avendo esperienza in merito, tendono a commettere errori perfettamente evitabili. Parliamo dunque della punteggiatura inerente i dialoghi.
Vi sono vari modi per esprimere il parlato in un testo; il più convenzionale e accettato a livello editoriale (e quindi utile anche a chi vuole autoprodursi, così da poter uniformare esteticamente il proprio testo agli standard di qualunque altro libro in commercio) riguarda l’uso dei caporali, cioè questi simboli « ».
Capita che in molti utilizzino, per scarsa conoscenza dei word processor o per dimenticanza (qualcuno potrebbe utilizzare questi simboli in una prima stesura dimenticando poi di correggerli al momento dell’invio all’editore, per esempio; potrà sembrare strano ma succede) i simboli di maggiore e minore ripetuti due volte (così: < < e > >) facendo storcere immediatamente il naso a chiunque si ritrovi a leggere il testo, che sia per una selezione editoriale, un concorso o che sia il lettore finale.
I caporali sono richiamabili da tastiera, in ambiente Windows, utilizzando la combinazione di tasti Alt+174 e Alt+175; se però si dovessero trovare troppo scomodi questi richiami da tastiera sarà sufficiente andare tra gli strumenti del vostro word processor, selezionare i caratteri speciali e scegliere da voi la combinazione di tasti da utilizzare per richiamare i caporali (potreste ad esempio imporre che < < = « e > > = » per fare un esempio banale ma utile, data l’improbabilità in un testo di narrativa di ritrovarsi a usare quei simboli).
Alcuni tendono poi a usare le virgolette (o meglio doppi apici) “…” basandosi su vecchie letture, visto che in passato era normalissimo vedere i dialoghi inframmezzati da questo tipo di punteggiatura (dovuta principalmente a necessità tecniche), oggi ormai desueta e ritenuta pratica scorretta dai più se non per l’esposizione di pensieri (“Ovvio” pensò Marco leggendo dei doppi apici) o per le citazioni.
Oltre ai doppi apici vi sono quelli singoli (spesso scambiati con degli apostrofi) ‘…‘ utili quando un vostro personaggio riflettendo su ciò che ha detto un altro vi porterebbe a dover citare all’interno di una frase corrispondente a un pensiero ed evitandovi così di dover ripetere più e più volte “…”…”…”…” e così via, creando fastidio in chi legge.
Altra precisazione “banale” (ecco un altro modo di utilizzare le virgolette in un dialogo, cioè quello di dare enfasi o un’intonazione particolare a una data parola) riguarda l’uso dei puntini di sospensione.
In troppi abusano di questo segno, creando all’interno dei propri dialoghi pause così lunghe da demolire qualunque tipo di attenzione o concentrazione il lettore possa aver trovato durante la lettura, giustificando poi questo errore come “scelta stilistica” o “sperimentazione linguistica” entrambe cose molto diverse dall’uso sconsiderato della punteggiatura minima. Bisogna inoltre ricordare che i puntini di sospensione vanno usati a gruppi di tre, mai di più, mai di meno.
Concludendo questa introduzione “tecnica” di base, passiamo ad alcune precisazioni un po’ più elaborate riguardo ai dialoghi.
Innanzi tutto, come più volte detto in questa serie di articoli, sarà necessario avere ben chiaro in mente sin dall’inizio cosa si vuole ottenere e qual è il tono e lo stile della propria opera: volete dei dialoghi realistici?
Allora attenzione a ognuno dei vostri personaggi: fate in modo che parli e si esprima e commetta degli errori che non siano fuori luogo; infatti una delle cose più difficili, per esempio, riguarda lo scrivere un dialogo tra bambini o tra persone che non conoscono una determinata lingua o con scarsa istruzione.
Riuscire a simulare il linguaggio infantile o riuscire a infarcire un dialogo di errori senza esagerare e far sembrare i propri personaggi stupidi e/o grotteschi è complesso.
Ma se si aspira al realismo contestualizzato anche nel parlato, allora sarà necessario affrontare questo problema e il modo migliore per farlo, oltre ovviamente a non esagerare con gli errori/infantilismi, è quello che vale per ogni cosa nel mondo della scrittura: leggere.
Leggete testi in cui a parlare sono stranieri, bambini, analfabeti, leggetene sia in termini di fiction (ci sono moltissimi racconti e romanzi con protagonisti figure di quel tipo) che non, leggete tutto il possibile così da avere un’idea chiara di ciò che potrebbe essere appropriato o no, nel contesto della vostra storia.
Attenzione però: quanto detto sopra vale sia in un senso che in un altro: supponiamo per esempio che il vostro protagonista trovi il diario di un bambino e lo legga e che poi lo racconti a una terza persona (il lettore, per esempio): il monologo del protagonista dovrà rispettare il carattere del medesimo, e non quello del bambino.
Di conseguenza inserire infantilismi e/o errori nella storia non sarebbe un tocco di colore e di realismo quanto, appunto, un mero errore.
Molto semplicemente, anche in questo caso è necessario il buon senso: che sia sempre chiaro chi sta parlando e come si potrebbe esprimere quel determinato personaggio e sia chiaro, anche, se ciò che il lettore legge è il dialogo di prima mano o se è re-interpretato da qualcun altro che potrebbe correggere/adattare/modificare quei dialoghi (basti pensare a John Watson, il compagno di Holmes, che ne trascrive le avventure e spesso e volentieri ne re-interpreta i dialoghi per “renderli maggiormente comprensibili ai lettori” in quel caso inserire errori voluti e infantilismi nei dialoghi sarebbe totalmente controproducente) in questo modo si potranno evitare moltissimi problemi che spesso e volentieri tendono a danneggiare anche i testi migliori.
Riassumendo: attenzione alla punteggiatura, ogni simbolo che utilizzate può influire sull’impressione che farà al vostro pubblico, che sia il curatore di una collana editoriale o il lettore finale. Attenzione a chi è il protagonista del dialogo: persone diverse parlano in modo diverso, come altre cose dette in questa introduzione sembra ovvio ma spesso e volentieri molti aspiranti autori non se ne rendono conto.
Quindi, concludendo, una volta stabilito cosa volete ottenere e cosa volete fare, potete iniziare a strutturare i vostri dialoghi. Coi prossimi articoli approfondiremo alcuni degli aspetti più interessanti inerenti l’argomento e che per comodità qui sono solo stati accennati o completamente evitati.
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Ciao a tutti! Non so da dove cominciare, ma spero che questo blogs.youcanprint.it sarà utile per me.
Ho scritto un libro di dialoghi e, data la mia età, ho usato il vecchiume delle virgolette” anziché i caporali «, ma non vedo gravi stonature in questo. Quanto ai puntini, ne ho inseriti parecchi, ma si trattava di colloqui di matematica e le esitazioni hanno in questo caso un’importanza cruciale nei dialoghi. Grazie comunque per l’articolo che trovo istruttivo ed interessante
Grazie, il vostro articolo mi è di sostegno e conferma quanto penso. L’esperienza lavorativa come docente di italiano, l’attenta lettura di testi di letteratura classici o non, mi hanno aiutato. Sono convinta che un buon libro dipenda molto anche dalla sua impostazione di base, dalla fluidità e dall’eleganza offerta all’occhio del lettore. Esistono delle regole ortografiche e sintattiche ben precise che, secondo me, lo scrittore deve padroneggiare al meglio.
Ho letto alcuni libri in cui si usavano per i dialoghi i simboli – – vanno bene?
Articolo interessante.