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Questo articolo non tratta solo di come scrivere una scena d’amore: la scena d’amore è il pretesto per affrontare un concetto molto più importante, che, se appreso, vale per tutte le tipologie di scene, non solo quelle d’amore…Il concetto è quello del retroscena dei personaggi.
Immagina che tu stia scrivendo un libro: se senti che una scena funziona e scorre bene la lasci così e prosegui avanti.
Ma se è corretta a livello sintattico, potrebbe avere dei problemi a livello di autenticità.
Esempio: due persone attraenti sono sedute una di fronte all’altra ad un tavolo illuminato da una candela; la luce si riflette sui bicchieri di cristallo e negli occhi languidi degli amanti. Le tende sono mosse da una leggera brezza. Sullo sfondo si sentono le note di un notturno di Chopin. Gli amanti si avvicinano, si prendono per mano, si guardano con desiderio, e si dicono: “Ti amo, ti amo” ed è proprio questo che intendono dire.
Ecco, se una scena tratta di ciò che tratta, allora non va bene.
È una scena non autentica, destinata certamente a morire come un riccio in autostrada…
I protagonisti del tuo libro non sono marionette che mimano gesti e pronunciano parole.
Ma sono “attori” del tuo libro che appaiono in un certo modo in base al proprio vissuto, al proprio retroscena personale, e non in base alla situazione descritta.
Nella vita i nostri occhi tendono a fermarsi alla superficie.
Siamo così presi dai nostri bisogni personali, conflitti e sogni che raramente riusciamo davvero a cogliere e capire cosa avviene all’interno degli altri essere umani.
Vedi una coppia prendere il caffè al bar, li vedi sorridere e non pensi ad andare oltre il loro sorriso: potrebbe esserci noia o chissà che altro.
Quando sei con un libro in mano e leggi di una coppia al bar allora le cose cambiano: in questo rituale sprofondiamo nella storia, andiamo costantemente oltre i volti e le attività dei personaggi, dici: “lo so cosa sta veramente pensando o provando quella protagonista, lo so cosa le sta succedendo e lo so meglio del tizio che le sta davanti, lui non capisce...”
Tu sei nella loro testa, e lo sei perché conosci il loro retroscena.
Se il libro è scritto bene.
Ecco perché ci rivolgiamo allo scrittore come ad una guida, ad un mentore, perché è lui che ci accompagna oltre l’apparenza e ci porta a ciò che è; e lo fa a tutti i livelli, e non per un semplice momento, ma fino alla fine della storia.
Il narratore ci fornisce il piacere che la vita ci nega, il piacere di stare seduti, comodi, con il libro fra le mani e di penetrare sotto la superficie della vita per giungere al nucleo di ciò che si prova e si pensa al di là delle apperenze.
Prendiamo una gomma dell’auto. Lasciamo che la scena sia praticamente un manuale di come si cambia uno pneumatico. Lasciamo che tutto il dialogo e l’azione parlino di crick, chiave inglese, dadi e bulloni: <<Passami quello, ok?>>. <<Attento>>. <<Non ti sporcare>>. <<Lascia che io…oops>> Saranno i protagonisti stessi ad innescare nella mente del lettore tutta una serie di immagini non scritte e lo faranno in base ai retroscena che i lettori conoscono di quei personaggi…
Mentre gli sguardi si incrociano e scoppiano scintille noi sappiamo cosa sta realmente accadendo dentro la loro testa, stiamo andando oltre la superficie, stiamo penetrando nei loro più intimi pensieri, capisci che fra loro c’è attrazione, che si piacciono, che a breve, volendo, finiranno a letto insieme…
C’è una bella differenza fra questa scena e quella al ristorante a lume di candela, non trovi?
In altri termini scrivi le cose così come avvengono realmente nella vita: se tu nel tuo libro iniziassi a descrivere la scena della cena a lume di candela, beh… non so quanti lettori arriverebbero alla fine, non del libro, ma della scena.
Va bene, facciamo finta che vogliamo proprio scriverla questa scena a lume di candela, allora vale la stessa regola appena spiegata, affrontiamo la scrittura di questa scena da una prospettiva diversa: perché questi due innamorati non fanno come tutte le persone normali quando le cose vanno bene, e cioè mangiano un bel piatto di pasta davanti alla tv?
Ci sono certamente dei retroscena: lui dice che la ama, ma in realtà non è vero, oppure ha paura di perderla, oppure è disperato e le vuole chiedere dei soldi, oppure dice di amarla, ma la sta preparando per una brutta notizia. Sta per lasciarla.
Una scena non deve mai parlare di quello di cui sembra parlare.
Parla di qualcos’altro. Questo qualcos’altro, questo volerla riconquistare, o prepararla alla rottura, farà funzionare la scena.
Esiste sempre un retroscena, una vita interiore che contrasta o contraddice il testo superficiale, è così che lo scrittore crea un multistrato che consente al lettore di andare oltre il testo per raggiungere la verità che vibra dietro gli occhi, la voce ed i gesti.
Questo non significa che la gente non sia sincera. È solo il riconoscimento dettato dal senso comune del fatto che tutti indossiamo una maschera in pubblico.
Noi diciamo e facciamo ciò che sentiamo di dover dire e fare mentre pensiamo e proviamo qualcosa di completamente diverso.
E deve essere così, perchè lo sappiamo che non possiamo andare in giro a dire a fare quello che ci viene in mente. Se tutti lo facessimo che mondo sarebbe?
I personaggi possono dire e fare qualsiasi cosa immaginiate. Ma solo quando quando lo scrittore inserisce il retroscena ed il lettore lo percepisce allora la scena funziona.
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Non hai tutti i torti, di solito, da quello che leggo e scrivo le scene d’amore sono le più difficili da mettere su carta anche perché i personaggi cambiano a seconda delle situazioni e dalle modalità dei contorni. Comunque pensare quello che passa per la testa di due prima che iniziano a fare sesso é complicato anche se poi se si va in fondo le fantasie dello scrittore prevalgono su tutto ed é egli stesso che descrive quello che realmente avrebbe voglia di fare con la patner. Sei daccordo? Ciao
Caro Donato, vuoi parlare a me di scene d’amore? Il mio Iveonte è pieno di pagine d’amore! Inoltre, autopubblicate con la Youcanprint ci sono le seguenti mie opere inerenti all’amore: Epistolario amoroso e Sulle ali dell’Amore.
Forse ti sta bene anche qualche pagina di Iveonte riguardante una scena d’amore.
144-IVEONTE E LERINDA VIVONO IL LORO PRIMO IDILLIO
Una volta svanito sotto terra nel modo che è stato riportato, il Talpok aveva lasciato l’eroico Iveonte in una grande stupefazione. A maggior ragione, ne era rimasta esterrefatta Lerinda, a causa dell’ingenuità e dell’inesperienza del suo senno in certi argomenti che erano di pertinenza proprio del pianeta uomo. Con molte probabilità, quel tipo di vita l’avrebbe accompagnata fino alla morte, siccome a ogni ragazza come lei si addicevano precipuamente la grazia e l’eleganza, l’innocenza e la semplicità, il bell’abbigliamento e una carezzevole favella. Infatti, questi sono i doni che Madre Natura ha riservato al gentil sesso fin dalla sua origine, perché se ne serva per rendere felice il sesso forte e per mitigargli le spossanti fatiche quotidiane, risultando tali sue dolci doti molto giovevoli all’uomo.
Nemmeno a Iveonte venne meno questo genere di consolazione, poiché egli, anche se era da poco che stava insieme con lei, a un tratto si vide assalire e circondare dalle moine di riconoscenza che gli provenivano da Lerinda. Al riguardo, se era innegabile che la ragazza si prodigava in esse con molta liberalità, era altrettanto vero che ella lo faceva con una certa discrezione nel dispensargliele. A un certo momento, però, il giovane, nel quale al fuoco dell’ira era subentrato l’ardore della passione, si vide guidare dai suoi bollenti sensi amorosi, i quali gli fecero smarrire il lume della ragione. Allora, non facendo caso alla moderazione della fanciulla, iniziò ad agire inconsciamente sotto l’impulso dell’istinto.
Così, venendo invaso da un’eccitazione fremente, intanto che la ragazza si teneva avvinta al suo petto, all’improvviso Iveonte si sentì in balia dei suoi bollenti spiriti. I quali, scorrazzando per i voluttuosi sentieri della sensualità, alla fine finirono per fare scomparire dentro di lui l’equilibrio interiore, il senso della misura e perfino la temporanea repulsione per ogni forma di dissennatezza. Nel frattempo che ciò succedeva nel suo intimo, come se un forte magnetismo si fosse instaurato fra lui e lei, creando tra loro due una irresistibile attrazione, il giovane circondò Lerinda con le sue robuste braccia e l’avvinse fortemente a sé. Quando poi ebbe anche poggiato le sue labbra ardenti sopra quelle di lei, cominciarono a divorarsi l’un l’altra di baci caldi e focosi. Perciò, baciandosi in quella maniera oltremodo appassionata, entrambi si andavano trasfondendo reciprocamente un amore fervente e inestinguibile. Alla fonte del quale, in quel momento estasiante, adesso essi attingevano per la prima volta l’essenza di tutto ciò che si presentava sublime e incantevole.
Statene certi, cari lettori, che Iveonte, se si fosse astenuto dal compiere un atto simile, sarebbe senz’altro scoppiato. Inoltre, se tale risultato non ci fosse stato per un qualsiasi motivo, di sicuro la sua calda natura umana si sarebbe tramutata in una gelida e dura roccia, restandovi imprigionato per l’eternità, quasi fosse divenuto una statua priva di vita!
Dopo che si furono disgiunti e si furono ritrovati di nuovo contrapposti l’uno all’altra con i volti erubescenti, in loro tornò a librarsi nuovamente la ragione. Allora essa, facendo ritenere scorretto a entrambi ciò che era accaduto fra di loro un attimo prima, li faceva quasi vergognare del loro momentaneo comportamento e, in un certo qual modo, li spingeva a schivarsi. In verità, quel loro atteggiamento iniziale un po’ troppo serioso avrebbe avuto vita breve. I due cotti innamorati ignoravano che la favolosa circostanza gli aveva invece fatto suggere un filtro, che aveva il potere di provocare un effetto diametralmente opposto. Esso, infatti, era venuto a erigere tra loro due il monumento bifronte della bramosia e dell’insaziabilità, il quale, da quell’istante, non avrebbe mai smesso di essere tale.
Qualche attimo più tardi, a dimostrazione di quanto si è detto poc’anzi, i due giovani innamorati potevano essere ancora scorti, mentre si davano a vivere la loro calda intimità sopra un soffice tappeto d’erba. Lerinda, stando seduta contro il tronco di un albero, era chinata sopra la testa del suo eroe salvatore, il quale era disteso supino per terra e poggiava il capo sopra le sue morbide cosce. Rimanendo poi in quella comoda e dilettevole posizione, essi intrapresero un piacevolissimo colloquio amoroso, quello che gli uccelli circostanti armonizzavano con un serto di gorgheggi soavi. Di repente si era venuta a creare fra i due giovani ebbri d’amore un’atmosfera d’incantevole idillio e di paradisiaca esistenza, la quale andava addolcendo quei momenti come non mai.
Con una leggerezza inverosimile, le mani della fanciulla, affondandovi e riaffiorandone, mettevano di continuo in subbuglio la bionda chioma d’Iveonte. Il quale, al tocco di quelle dita lievi ed elettrizzanti, andava in estasi, sentiva serpeggiare sotto la sua pelle una sensazione soave e beatificante, volgeva i suoi pensieri là dove tutto concorreva a una divina felicità. Il precedente bacio passionale, come si constava, aveva portato ambedue a una immedesimazione quasi trascendente, per cui il punto di congiunzione dei loro spiriti si perdeva, all’improvviso, oltre l’incognito e l’inaccessibile. Per la quale ragione, essi non bramavano altro che appagarsi l’uno dell’altra e sentire palpitare all’unisono i loro cuori trepidanti. Ma soprattutto anelavano a immedesimarsi con i loro animi e i loro spiriti in una perfetta e felice unione trascendentale e sensitiva, oltre che infinitamente gratificante.
Iveonte e Lerinda adesso si sentivano integrare a vicenda e, al solo pensiero di una loro separazione coatta, una tetra notte infernale si avventava contro di loro e li avviluppava sinistramente. Per questo, dall’una e dall’altra parte, partivano fervide implorazioni a divinità benefiche, affinché quegli istanti ameni si dilungassero per un tempo infinito e divenissero i loro inseparabili compagni. Stando così materialmente e spiritualmente congiunti, sembrava che essi non si accorgessero più del mondo che li circondava. Al di fuori della loro meravigliosa passione, nessuna cosa era in grado di farsi notare e di farsi ritenere esistente, poiché tutto periva in un niente e in un vuoto insignificanti. Ciò, perché il loro ardente amore, in quegli istanti gaudiosi, rappresentava l’unico promotore di vita, di benessere e di gioia. Anzi, esso rappresentava il perfetto amalgama che li teneva divinamente fusi in un entusiasmo mirabile e suggestivo.
Quando infine la passione amorosa si decise a sbollire un poco nei due innamorati, facendoli ridiventare normali come prima, Lerinda domandò al giovane:
«Sai, Iveonte, cosa si dice dell’amore? Se non ne hai mai sentito parlare, posso metterti io al corrente di una sua stupenda concezione, che ci è provenuta da una persona ignota. Vedrai che non ti dispiacerà affatto venire a conoscenza di essa! Te lo garantisco!»
«A esserti sincero, Lerinda, qualcosa ho sentito anch’io sull’amore. Ma non posso assicurarti che il suo contenuto è il medesimo che intendi farmi conoscere. Perciò, soltanto dopo che me lo avrai riferito, potrò risponderti al riguardo. Quindi, inizia a parlarmene!»
«Ebbene, Iveonte, si racconta che, agli albori dell’universo, il caos primordiale imperava sui tenebrosi e freddi spazi cosmici. In seguito, però, l’onnipotente Matarum li irraggiò con la grazia dell’amore, il quale ovunque si diede a guizzare, a balenare e a scintillare, fino a imporsi come la legge regolatrice di ogni cosa. Così, sotto la sua egida, la luce subentrò alle tenebre ricalcitranti, l’armonia dilagò dappertutto suprema e vittoriosa; mentre la vita iniziò a palpitare e a pullulare in seno alla materia. Unicamente nello spirito dell’uomo, che aveva prescelto come sua stabile dimora, l’amore eresse il suo tempio sacro, nel quale le umane passioni ardenti potessero accendersi e alimentarsi con il suo fuoco eterno. Inoltre, esse avrebbero dovuto cominciare a vivervi intensamente il soave incanto dell’amore, in seno a un’estasi che si mostrava travolgente, esaltante e inebriante! Ecco: ora ho finito! Allora che ti pare quanto ti ho appena riferito sul meraviglioso tesoro, che è amore?»
«Innanzitutto, Lerinda, voglio farti presente che questo concetto dell’amore mi giunge completamente nuovo. Se poi vuoi che ti esprima un giudizio su di esso, adesso te lo paleso subito. Senza dubbio, lo trovo una specie di genesi dell’amore sublimemente poetica e magicamente seducente. Ma, in merito a esso, vorrei sapere da te che cosa pensi tu realmente dell’amore, la qual cosa, se ci tieni a saperlo, m’interessa molto di più!»
«Sono convinta, Iveonte, che, se venisse meno l’amore, l’universo verrebbe a essere privato del suo mistero e del suo fascino. Inoltre, le stelle perderebbero la loro magia, il sole non avrebbe più il suo splendore, la luna smetterebbe d’ispirare i poeti e i cantori, svanirebbe la maestà del mare, i monti non si ritroverebbero più la loro imponenza, la natura resterebbe senza vitalità, ai fiori verrebbero tolti il loro profumo e il loro candore. Infine la vita stessa cesserebbe di manifestare la sua ilarità e di esprimere la sua creatività. Quanto al mondo degli innamorati, esso smarrirebbe il suo dolce incanto, diverrebbe un’essenza arida e morta, sprofonderebbe nel baratro più buio, si ritroverebbe nella notte più cieca, si perderebbe per spazi senza mete; anzi, errerebbe per tempi senza speranze e senza progetti, privo di ogni sublime ideale. Per questo lo si scorgerebbe esistere esclusivamente con l’amaro sapore del crudo disincanto e con il pungente oblio di sé stesso, senza più ritrovarsi in qualche angolo di questo mondo.»
«Mia dolce Lerinda, le tue amabili riflessioni sull’amore si sono rivelate un’autentica e genuina poesia. Esse mi hanno affascinato moltissimo e mi hanno fatto rammentare ciò che una persona cara espresse sull’amore a me e al mio amico Francide. Si tratta di qualcosa molto simile al tuo racconto sulla sua nascita, cioè concepita in una visione che non è per niente filosofica e risulta invece più essenzialmente poetica.»
«Allora cosa aspetti a parlarmene, Iveonte? Non sai come già sto fremendo, per l’ansia di ascoltare le tue parole, le quali potranno essere soltanto meravigliose, considerato l’argomento che dovranno trattare! Devi sapere che tutto ciò che concerne l’amore mi entusiasma e mi avvince. Specialmente adesso che ho trovato la persona ideale, con la quale ho iniziato a concretizzarlo e spero di poterlo coltivare per l’intera mia esistenza!»
«Il nostro Tio una sera, sotto un cielo stellato e al chiaro di luna, a proposito del sentimento amoroso, ci disse quanto sto per riferirti. Subito dopo essere echeggiato il primo vagito umano sulla nostra terra novella, il leggiadro sorriso dell’amore, apparendovi magico come un’aurora boreale, abbagliò gli azzurri firmamenti. Intendeva così farvi librare lievemente le sospirose passioni dei futuri innumerevoli amanti. Più tardi l’amore, con la sua bellezza e la sua grazia, fu scorto che era intento a lenire le ambasce di quegli animi angustiati che avevano voluto sorbire il suo nettare soave al calice della passione amorosa. Poi esso accese gli spiriti umani di focoso ardore, di folle bramosia dei sensi e di lascivi desideri incontrollati. Perciò essi, oltre a fare strage di cuori, decisero d’innalzare un monumento altissimo e immortale a quel piacere e a quella gioia che avevano la loro beata origine dall’amore. Infine, in seno a esso, l’uno e l’altra si cementarono con l’obiettivo di diventare inseparabili per l’eternità.»
«Avevi ragione, Iveonte. La visione genetica dell’amore, così com’era interpretata dal vostro Tio, supera di molto quella che ti ho fatta apprendere un momento fa. Essa si presenta come un connubio di poeticità e di sensualità, il quale rende ancora più umano il senso amoroso e più appetibile l’atto che lo concretizza. Inoltre, vi sono rimarcate stupendamente un’esaltazione e un’immortalità dell’amore né del tutto platoniche né del tutto materiali, ma equamente distribuito in entrambe le forme. Esso, come espresso dal vostro defunto tutore, abbandona ogni irreale e arido schematismo; ma, assurgendo al più alto dei valori, si estrinseca, si ravviva e si perpetua in un’unica realtà. La quale, alla fine, finisce per assemblare il piacere dei sensi, l’equilibrio della ragione e l’incanto della poesia, facendoli fondere in un qualcosa che pare si rifugi nel trascendente, al solo scopo d’immortalarsi e sopravvivere a ogni processo storico.»
I discorsi sull’amore dei due giovani innamorati, siccome si andarono facendo sempre più vivi e intimi, a un dato momento, suscitarono tra di loro un clima travolgente ed elettrizzante. Esso, a mano a mano, andò accendendo sempre di più nel loro intimo un’impetuosa passione, per cui, senza accorgersene, entrambi i loro corpi si sentirono cercare avidamente l’un l’altra. Ora si cercavano non soltanto con gli occhi e con le mani, ma soprattutto con le labbra, le quali adesso andavano attingendo ovunque l’ambrosia sublime dell’amore. Sembrava che i loro corpi fossero divenuti più grandi per le loro mani, sebbene esse risultassero più lunghe in quella circostanza. Le loro dita erano impegnate a sfiorarli, ad accarezzarli e a palpeggiarli, volendo sentirvi agitarsi dentro l’irruente ardore della loro incipiente ebbrezza passionale. Così i due giovani si ritrovarono tutto a un tratto l’uno sopra l’altra, con i loro corpi che fremevano in un caldo abbraccio. Quell’intimo amplesso, anche se espresso parzialmente, dopo averli fatti sentire fantasticamente un solo corpo e un solo spirito, come per incanto, venne a rapirli alla loro reale esistenza.
Oramai Iveonte e Lerinda veleggiavano per acque sconfinate e senza tempo, rese tempestose dai ritmi focosi del crescente incalzare della loro bramosia amorosa. Intorno a loro, invece, si udiva una procella di sospiri, di deliri e di gemiti, la quale tumultuava e furoreggiava. Essa, intanto che li inondava e li estasiava con la sua voluttà e la sua frenesia, donava all’uno e all’altra il dolce oblio di ogni umana traversia. Alla fine, l’intima fusione dei loro corpi, intesa sempre parzialmente, segnò il suggestivo atto finale di quel loro incantevole rapporto amoroso, il quale aveva visto ardere nei loro cuori tanti assurdi e voluttuosi appetiti. Soprattutto, esso, seguendo la bizzarria dei loro impulsi sfrenati e ignorando per breve tempo qualsiasi contegno, aveva permesso a ogni sovrumano appagamento di prendere posto nella loro interiorità estasiata, per cui la felicità non vi aveva conosciuto soste ed era brillata nel loro intimo, quasi si fosse tratto di una stella rifulgente.
Qualche minuto più tardi, Iveonte e Lerinda ripresero il controllo psichico della situazione e badarono a riordinarsi alla meglio. In quella maniera, non sarebbero apparsi agli occhi degli altri in una situazione tale, da dare adito a sospetti. Così, dopo essersi riordinati nell’aspetto, essi si sedettero l’uno accanto all’altra e si diedero a una conversazione, che stavolta sarebbe risultata di diverso tipo, comunque altrettanto piacevole e interessante.
Luigi Orabona, il suo brano sembra più un tentativo di scrivere un trattato. Fa uso di paroloni che nessun protagonista che vive in una scena d’amore direbbe.. Lei descrive le
sue personali sensazioni, ma non fa parlare i protagonisti. Lasci che siano loro a dare voce alle proprie emozioni, così come le stanno vivendo in quel preciso momento. Almeno è ciò che io avrei preferito leggere.
Caro Donato, grazie per i tuoi consigli. A me non servono, perché scrivo da 60anni e l’esperienza è tanta. È pur vero che scrivo prevalentemente poesia, ma non disdegno la narrativa, che piace tantissimo ai miei lettori. Comunque i tuoi consigli sono utili per chi non ha il “dono” o il “talento”, perché poeti e scrittori veri si nasce! Tutto il resto lascia il tempo che trova ed è frutto di un buon editing. Saluti cordiali.
Sono perfettamente d’accordo. Nel mio libro questo traspare i personaggi non sono affatto quello che sembrano, ognuno di essi mette in evidenza tratti del carattere per nulla scontati, soprattutto la protagonista femminile. La maschera ce la portiamo quasi dalla nascita.
Non c’è un manuale per scrivere un libro, è una cosa complessa, che richiede fantasia dedizione e tanto tempo. Inoltre non è detto che il racconto funzioni. Dopo tutto questo, a seguito di letture e riletture alla ricerca di errori, tagli e implementazioni, non si ottiene nulla, la storia non va. Certo, si scrive per passione, ma comunque sia, dopo tanta fatica, ci si aspetta che ciò che si è fatto possa avere qualche riscontro gratificante, ma ahimé, non sempre è così, pazienza, uno ci prova. Un abbraccio. Ignazio.
Il problema che oggi sono i giovani a leggere i libri… a loro piacciono le emozioni scritte con descrizioni, specialmente la lettrice…. l’immaginazione la deve creare lo scrittore, specialmente quando scrive il suo libro, lui deve far vivere la vita del protagonista al lettore, insomma vivere nel racconto, soltanto così il libro piace, ma la gioventù di oggi vuole le descrizioni di tutte le scene dell’amore, questo è l’errore, ma lo scrittore lo asseconda sbagliando… i miei libri non hanno quelle descrizioni a me interessa che il lettore viva la storia dei protagonisti, sarà sbagliato ma io la penso così, forse perché sono vecchio
Ho letto l’articolo trovandolo molto divertente, anche se l’affermazione: una scena non deve mai parlare di quello di cui sembra parlare; sia abbastanza opinabile. Stiamo leggendo un racconto rosa o un giallo?
Un altro punto è la cena a lume di candela. Se il lettore non riesce a finir di leggere la scena, bene vuol solo dire che quel tipo di lettura non è per lui.
Un’altra situazione, che mi ha letteralmente strappato una risata, è quella del piatto di pastasciutta davanti alla tv. Penso che, se il compendio umano si rifletta così; è arrivato alla frutta, e può buttare il piatto di pastasciutta dalla finestra.
In breve: il racconto rosa deve far sognare chi ha deciso di leggerlo. Deve portar lontano dalla quotidianità senza colori, ma far volare alto. Se poi cerchiamo retroscena e introspezione, allora Freud ci aspetta sul comodino.
Concordo con Claudia. Personalmente non comprerei mai un libro dove mi viene descritto uno che dice a un’altra di passargli il crick per l’automobile o dove leggere di due che molto scontatamente mangiano la pastasciutta davanti al televisore. E’ proprio in questo caso che non finirei neppure di leggere la scena.
Ciao Antonella, sono contenta di leggere che la pensi come me; ma evidentemente per gli uomini, il massimo del romanticismo pare sia proprio la situazione del crick. Forse è per questa ragione, che noi donne preferiamo la situazione classica: “La cena a lume di candela”; visto che non la riscontriamo nella realtà…purtroppo.
Vorrei tuttavia non si banalizzasse l’argomento. Non stiamo discutendo se è più romantico cambiare una gomma in autostrada o una cena a lume di candela: la risposta è scontata, oltre che banale.
La chiave dell’argomento è un’altra: noi stiamo scrivendo un libro, qui si parla di come essere più efficaci possibili nella scrittura del nostro libro. Per questo motivo dobbiamo creare delle scene autentiche, delle scene che ispirano attenzione nel lettore, dobbiamo mettere i nostri protagonisti più lontano possibile dai clichè e porli in situazioni autentiche ma non banali, dove per banali intendo già viste o peggio ancora riviste…
Ecco dunque che l’esempio del cambio di una gomma rispetto ad una “normale” cena a lume di candela (fine a se stessa e descritta come nel contenuto che avete letto) potrebbe dare molti, molti più stimoli e spunti di narrazione…
Ciao Donato,
non ho mai scritto una storia d’amore ma faccio comunque tesoro!
I tuoi contenuti sono sempre utili e preziosi!
Grazie, buone vacanze
a rileggerti
“Ed è proprio questo che intendono dire”. Scusa Donato, ma chi scriverebbe una frase così? Eliminata questa frase, si potrebbe continuare con: “l’uomo si rese conto che la mano dell’amante era senza nervo, passiva, proiezione di una distanza infinita. Le parole, distoniche rispetto al linguaggio del corpo, risuonavano ostili nella sua testa. Poteva essere tutta una farsa, una messa in scena sul palco di quel ristorante? Da quando era comparso il cameriere, l’incanto pareva spezzato. L’assaggio del vino, il suo sguardo impassibile e gelido, l’incontro della bottiglia con i cubetti di ghiaccio. Tutto improvvisamente pareva mutato e non sapeva spiegarsi il motivo. O forse si.. Poteva la sua amante conoscere il cameriere?”
Ecco un piccolo esempio inventato di sana pianta, con lo scopo di sminuire la scena precedente e renderla piccola, meno importante e pesante. Questo per dire che le variabili sono molteplici.
Concordo che bisogna seminare e lasciare al lettore la possibilità di vivere la scena “quasi a sua immagine”.
I tuoi consigli sono preziosi Donato, penso bisogna farli propri a partire dal concetto di base, per poi calarli nel proprio mondo e personalizzarli.
Si sono d’accordo, io quando scrivo scene d’amore prendo una delle due parti. Mi immedesimo e descrivo appunto quello che vorrei accadesse. Prendo i tempi e tutto scivola via nel modo più naturale possibile. La cosa che trovo difficile non è quella di scrivere su carta la scena, ma al modo di farlo; come lo stato emozionale e quant’altro. Ciao
Io sono d’accordo con Francesco. Io non ho problemi a scrivere una scena d’amore. Di solito mi immedesimo con uno dei protagonisti e descrivo la scena così come vorrei che fosse svolta; mi prendo i tempi e tutto scivola via naturalmente. Il problema è scrivere diverse scene d’amore, e quindi a come e dove si svolge la scena.
Io intanto salvo il riccio…
Mai scritto una storia di amore, solo scritto di un amore finito! Il lettore deve aver fiuto che ci sarà un finale tragico, creare suspense, per un finale imprevedibile.
Penso che anche un romanzo rosa può avere la stessa logica. Come ti ho già detto, ho scritto esclusivamente NOIR.
Carissimo Donato,
I tuoi consigli sono come sempre preziosi. Questi in particolare potrebbero tenere lontano qualche riccio dall’autostrada!
Hai giustamente sottolineato l’importanza del retroscena nella narrazione, che lo scrittore inserisce per consentire al lettore di vivere le scene insieme ai personaggi, prendendo posto nel palco privilegiato della loro testa. Pensare con loro.
Condivido ampiamente, e come lettrice senza nessuna fatica.
La pratica della scrittura mi richiede invece ancora tanto impegno per raggiungere pienamente questo obiettivo.
Grazie ancora. A presto
Maria Teresa Lezzi Fiorentino
Certo scrivere una scena d’amore potrebbe anche interessare, ma non andare nei dettagli che molti li scrivono convinti di carpire l’interesse del lettore, purtroppo quest’ ultimo è esigente, si piace una scena d’amore, ma non vuole dettagli, almeno io la penso così… però può succedere, ma non farla sembrare troppo passionale e lunga, secondo me è più apprezzata perché sveglia la sua immaginazione.
Ciao Enzo, si sono d’accordo sempre meglio lasciare i dettagli all’immaginazione del lettore…!