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Strutture narrative: ciò che non può mancare in un buon testo

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Scrivere è un gesto che facciamo tutti, narrare e narrarci è qualcosa che appartiene a chi usa la scrittura come mezzo di comunicazione verso Sé e verso il mondo. Ogni scrittore ha iniziato la sua attività attraverso l’uso della parola scritta come specchio riflessivo dei vissuti, delle esperienze, come sfogo nella criticità, come ragnatela per trattenere momenti felici.

Quando siamo gli unici lettori dei nostri testi, la responsabilità narrativa è verso un unico autore/lettore. Quando invece decidiamo di superare il confine, condividendo fantasie e/o esperienze con altri, ci sono «regole» di cui bisogna tenere conto.

La prima è sapere di cosa si vuole scrivere. Qual è il genere letterario che sta per prendere forma dalle parole. Come ciò che vogliano raccontare, può essere narrato attraverso le regole di quel genere (se sto per creare un giallo devo aver chiari i meccanismi che «regolano» l’interesse del lettore, così come se sto per creare un fantasy devo aver chiara la differenza tra quel genere e la fiaba).
Un altro importante elemento è sapere a chi desideriamo indirizzare il testo: bambini? Adolescenti? Adulti? In modo da scegliere il registro narrativo migliore, quello maggiormente comprensibile ed efficace.

Stabiliti i criteri e i lettori, occorre concentrarsi sugli equilibri strutturali di un buon testo. L’inizio deve interessare, accendere la curiosità, accompagnare il lettore dall’anticamera al salotto, dove la storia troverà tempo, spazio e modo per essere narrata. Centralmente, quando il viaggio è iniziato, avremo a disposizione pagine e personaggi con i quali rendere appetibile la lettura, strutturare una trama, badare a che il quadro narrativo, assuma la sua fisionomia.

Un altro importante aspetto è la conclusione di una storia che non dovrebbe essere né troppo rapida, né troppo elaborata. È un po’ come essere sulla porta di casa e congedare un ospite: non è buona norma continuare a chiacchiere stando in piedi sapendo che presto quell’incontro avrà fine e non sarebbe gentile neppure salutare l’ospite e chiudere, troppo rapidamente la porta.

Un congedo richiede tatto ma anche decisione. Quando il lettore ha davanti a sé la parola: fine, se il testo è stato progettato e realizzato in modo funzionale, si sentirà «diverso» da quando ha iniziato la lettura, perché avrà percorso un tratto di strada, con personaggi, eventi e storie che gli avranno lasciato qualcosa.

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Mariangela Ciceri
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