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Il capoverso è la parte di testo compresa fra un “a capo” e il successivo.
Sarebbe buona regola cominciare ogni capoverso con una frase-chiave e concluderlo in modo che richiami la frase di partenza.
Questo è un espediente di grande aiuto per il lettore, che ha modo di scoprire fin da subito quello che è lo scopo del capoverso e di tenerlo a mente fino alla conclusione.
Nei racconti o nelle parti concitate, i capoversi tendono a farsi piuttosto brevi, talvolta non esiste alcun tipo di frase-chiave e fra un capoverso e l’altro viene a crearsi una pausa retorica che ha come obiettivo quello di mettere in evidenza alcuni punti dell’azione.
Nei romanzi le eccezioni a questa regola sono numerose.
Un capoverso può essere lungo una sola parola e quindi, isolandola, darle enfasi.
In narrativa è uno strumento molto utile per scandire il ritmo e non solo: i capoversi sono importanti anche perché, indipendentemente dal loro contenuto, danno una forma visibile alla pagina scritta.
Un testo composto da capoversi brevi è pieno di “a capo” e dunque più arioso, più chiaro dal punto di vista dell’impatto visivo, mentre i capoversi lunghi che caratterizzano i racconti ricchi di descrizioni, danno l’idea di densità e, in alcuni casi, di asfissia.
Come si fa ad usare bene i capoversi? Per Stephen King [On Writing p.128] non bisogna lambiccarsi più di tanto il cervello:
“Più scrivete e più leggete fiction, più scoprirete che i vostri paragrafi si formano da soli. Ed è ciò che volete. Mettere componete è meglio non pensare troppo a dove essi cominciano e finiscono; il trucco è di lasciare la natura fare il suo corso. Correggere più tardi , se non vi piace. E’ appunto questo lo scopo della riscrittura”.
Non possiamo fare a meno di citare chi ha fatto della concretezza e della precisione il fulcro della sua scrittura, il grande scrittore americano Raymond Carver. Sentiamo quello che ha da dire a riguardo direttamente dalla sua voce, in questi brani tratti da Niente Trucchi da quattro soldi – Consigli per scrivere onestamente [Minimum Fax]:
Se le parole sono appesantite dall’emozione incontrollata dello scrittore, o se sono imprecise e inaccurate per qualche altro motivo – se sono, insomma, in qualche maniera sfocate – gli occhi del lettore scivoleranno fatalmente sopra di esse e non si otterrà un bel niente. Il senso artistico del lettore non sarà affatto stimolato.
In una poesia o in un racconto si possono descrivere cose, oggetti comuni, usando un linguaggio comune ma preciso, e dotare questi oggetti – una sedia, le tendine di una finestra, una forchetta, un sasso, un orecchino – di un potere immenso, addirittura sbalorditivo. Si può scrivere una riga di dialogo apparentemente innocui e far sì che provochi al lettore un brivido lungo la schiena.
In definitiva le parole sono tutto quello che abbiamo, perciò è meglio usare quelle giuste.
Stephen King [On Writing p.174] sostiene di non amare troppo le descrizioni minuziose delle caratteristiche fisiche dei personaggi e del loro abbigliamento, e che preferisce sia il lettore a fornire fisionomia, corporatura e abbigliamento ai suoi personaggi:
Se io vi dico che Carry White è una liceale emarginata dalle compagne con la pelle rovinata ed è vestita con abiti di recupero, che che possiate fare il resto da soli, o no? Non c’è bisogno che vi dia io una descrizione accurata di brufoli e gonne. In fondo ciascuno di noi conserva nella memoria il ricordo di qualche compagna sfortunata, se io vi descrivo la mia, la vostra resta tagliata fuori e io perdo un po’ di quel legame di reciproca comprensione che desidero stabilire tra noi. La descrizione comincia nella fantasia dell’autore, ma dovrebbe finire in quella del lettore.
Mi sono permesso di evidenziare in grassetto l’ultima frase perché secondo me è di fondamentale importanza capire questo concetto, cioè che la descrizione è il prodotto della combinazione di due fantasie: quella dello scrittore e quella del lettore.
In definitiva, i grandi scrittori, attraverso i loro manuali di scrittura riguardo le più comuni norme di composizione, cercano di dirci che:
E’ sempre meglio usare un linguaggio chiaro, specifico e concreto, quale delle due frasi preferisci?
Questo linguaggio contribuisce in maniera determinante a suscitare e tenere desta l’attenzione del lettore.
Se nel leggere un libro hai l’impressione (bellissima) di essere fisicamente presente agli avvenimenti è solo grazie alla precisione dei dettagli e per la concretezza dei termini utilizzati.
Non che sia fornito ogni dettaglio, sarebbe impossibile e deleterio (vedi nota di S.King sopra riportata).
Solo i dettagli significativi vengono forniti, e non in maniera vaga, ma con tale precisione che il lettore, abbandonandosi all’immaginazione, può sentirsi parte della scena.
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Grazie Donato, sempre ottimi spunti, idee, consigli. Quel genio di King ha scritto che la descizione comincia con fantasia dell’ autore per finire nella fantasia del lettore e in quella frase io mi rivedo in pieno.
Ciao Donato, sono parzialmente d’accordo con gli approcci sopra descritti, provo ad essere più preciso: ‘esagerare’ nelle descrizioni può in effetti precludere al lettore la possibilità di utilizzare la propria immaginazione e limitare l’empatia che ne potrebbe derivare, ma da appassionato di fantasy, credo che sia importante fornire quante più informazioni possibili ai propri lettori, soprattutto relativamente ai luoghi in cui vengono ambientate le proprie storie. Grazie sempre per l’interessante articolo!
Ciao Donato, ho trovato il tuo articolo molto interessante e lo condivido pienamente. La fantasia nasce dall’autore ma deve concludersi in quella del lettore, che deve farsi proprio il protagonista nel delinearne un profilo, quasi, personale. Le frasi dirette sono poi, certamente, quelle che amo di più. Leggere un libro ed avere la sensazione di esser presente ai fatti narrati è qualcosa di molto piacevole. Ricordo di averne letto uno di recente, ed ancora ne riserbo una forte emozione.
Questo argomento mi è piaciuto molto. Tra l’altro, è proprio il tipo di lavoro che sto facendo sul mio stile. Bello (anche se ci sono alcuni refusi che mi hanno un attimo confusa, prima di capire il senso)
Ciao Donato,
Buona domenica e grazie per la riflessione che inviti a fare su capoversi e descrizioni.
D’accordissimo con S. King che suggerisce di lasciar formare i paragrafi da soli quando scriviamo per poi apportare le modifiche nella fase di riscrittura, secondo il nostro stile personale.
Il capoverso breve, che io preferisco, dà alla narrazione un ritmo più rapido, l’idea dell’azione che si svolge sotto i nostri occhi, del tempo che scorre rapido come i desideri, del contenuto fruibile nell’immediatezza, così come lo coglie lo sguardo. La lettura è avvincente e leggera.
Ben diversi appaiono altri scritti, di chiara fama, come quelli di Grossman ed Handke, dove i capoversi occupano intere pagine e ci ritroviamo a sospirare un punto fermo per un istante di pausa.
Per le descrizioni confermo la necessaria interazione scrittore-lettore, rispettivamente punto d’inizio e punto di fine della fantasia. Riporto come esempio la mia esperienza.
Dopo aver completato i miei primi racconti, ho utilizzato come banco di prova, è proprio il caso di dirlo, quello dei miei ex alunni, per sentire il loro parere.
Discordanti le voci: il “personaggio” in esame ad alcuni appariva ben delineato, altri avrebbero preferito molti particolari in più, altri ancora mi invitavano ad omettere qualche tratto, per consentire al lettore di fantasticare di più.
Precisione sì dunque, ma con tanti indizi che chi legge può utilizzare per il suo viaggio sulle ali del libro.
Buon lavoro
Avrei volentieri acquistato “Niente trucchi da quattro soldi” ma non è disponibile sui principali siti di vendita on line (Amazon Mondadori, IBS, Feltrinelli…). Qualche idea per reperirlo?
Avrei volentieri acquistato il libro “Niente trucchi da quattro soldi” ma attualmente non è disponibile sui principali siti on line (Amazon , Feltrinelli, Mondadori, IBS…). Qualche idea per reperirlo?
Molto interessante! Trovo questi post molto utili per chi si accinge a scrivere. Danno da pensare e servono a raddrizzare il tiro. Ci sono talenti naturali e altri che hanno bisogno di qualche “dritta” per correggere il tiro. Quasi interventi li trovo oltremodo utili.
grazie, sono piccole informazioni ma importanti.
normalmente uso questo metodo di stesura del testo:
prima scrivo i miei pensieri o quanto vorrei trasmettere, poi li rielaboro dando un senso costruttivo e leggibile all’argomento trattato, poi solo allora, se sono convinto, lo riporto sul computer per poterlo, in seguito, rivederlo e correggerlo ulteriormente
Sono pienamente d’accordo con King, mi annoiano i capoversi troppo lunghi e ancor di più le descrizioni troppo dettagliate, mi innervosiscono. Donato stai facendo un interessante lavoro di ricerca, per chiunque si dedica alla scrittura. Io cerco di leggere tutto quello che scrivi, anche se sono per temperamento allergica alle regole. Ti ringrazio e abbraccio. Saluti a tutto lo staff. ♀️
Ho letto con molto interese. Grazie per tutti i consigli che ci dai. Buon lavoro Marisa
Ho letto con interesse il tuo articolo. Istintivamente tendo a collegare con le stesse parole della frase che precede se la situazione lo consente, mi sembra che la scena acquisti autorevolezza. Per quanto riguarda le descrizioni sono d’accordo sulla stringatezza penso sia meglio descrivere l’intensità di uno sguardo piuttosto che il colore degli occhi.Ti ringrazio per gli utili consigli .
Tutti commenti utili. Personalmente preferisco brevi frasi a quelle molto lunghe. Danno l’immediatezza del racconto senza che ci perdiamo nei particolari. McCourt, ad esempio, lo trovo fantastico. Altri preferiscono le lunghe descrizioni e hanno bisogno di seguire le sensazioni dell’autore. Per la scrittura del testo, butto giù la mia idea cercando di elaborarla ma poi ci torno su piu’ volte e arricchisco il testo. Non tutto mi viene in mente subito. Spesso mi viene in testa quella che ritengo una buona idea e ci ricamo su correggendo e arricchendo lo scritto precedente. Per i capitoli mi è piaciuto molto non dargli un nome ma indicarli solamente con un numero: uno, due, tre…
Adesso sono impegnato in un romanzo storico rielaborando i diari di mio padre prigioniero dei nazisti durante la seconda guerra mondiale. Dai diari ho gia’ ricavato un libretto “Per qualche foglia di cavolo” stampato con You can print.
Grazie a voi tutti per i vostri suggerimenti.
ciao Alessandro grazie a te il tuo commento non fa che dare ancora più valore a chi ci legge! Continua a seguirci!