Laura Latini: “Leggere e scrivere, un piacere e un modo per imparare a riflettere”
Salve, mi chiamo Laura Latini Sono nata a Venezia ed ora vivo nella vicina Mestre Felicemente sposata, ho due figli e due nipoti, ai quali sono molto...
Erika Corvo è un “Fai da Te” umano. Non aspettatevi Miss Universo, perché sono un cesso. A vedermi non mi dareste due lire, ma so fare tante cose, e tutto quello che so fare, l’ho imparato da sola. Sono nata a Milano nel 1958. Madonna, quanto sono vecchia! Sicuramente sono una donna strana: costruisco mobili, aggiusto elettrodomestici, eseguo piccoli lavori di muratura e idraulica, sbianco casa, lavo a mano la biancheria (non ho la lavatrice) preparo medicinali a base di erbe, e mentre faccio tutto questo scrivo romanzi, e leggo manuali di sopravvivenza di Bear Grylls.
I miei non mi facevano mai uscire di casa, e il mio unico svago erano i libri. Ho imparato a leggere molto prima delle elementari, solo perché mi annoiavo e non sapevo come passare il tempo. Mio fratello era più grande di tre anni, e andava già a scuola. Quando arrivavano i suoi libri, sussidiario e libro di lettura, lui non li leggeva per tutto l’anno scolastico, io li avevo già letti di nascosto prima di novembre. (“Cosa fai col libro di tuo fratello? Mettilo via che glielo sciupi!” “Ma guardo solo le figure”. Palle. Li sapevo a memoria).
Va da sé che quando venne il mio turno di andare a scuola, mi annoiassi da matti. Loro leggevano Pinocchio, io leggevo Kipling. Loro leggevano “I tre porcellini”, io leggevo la vita di Pasteur e i cacciatori di microbi. Loro leggevano “Piccole donne”, io leggevo “I Peccati” di Peyton Place e Lolita. Loro leggevano Biancaneve, io ci davo già dentro con gli Urania e con Salgari. Non potrei vivere senza leggere o senza scrivere.
Mio padre si divertiva a scrivere poesiole, raccontini, filastrocche e cambiava i testi alle canzoni facendole diventare spiritose. Niente di speciale, ma amici e parenti si divertivano alle sue trovate. Io sono cresciuta sapendo che fosse possibile farlo; era una cosa normale, e credevo che tutti lo potessero e lo sapessero fare. Andavo ancora alle elementari quando ho iniziato a farlo anch’io. E lo facevo bene. Ci sono rimasta male quando ho capito che gli altri, invece, non ci riuscissero.
Scrivere è sempre stata la mia passione. Ho iniziato col diario, quando ero proprio piccola. Alle medie avevo già scritto varie raccolte di poesie e iniziavo a cimentarmi nei racconti. Ingenui, stupidotti, semplici… ma imparavo cosa si dovesse scrivere, e come farlo sempre meglio. Sono sempre stata spietata con me stessa, non mi sono mai crogiolata pensando di essere brava, se quello che facevo non era perfetto.
Quali sono le mie passioni? Secondo gli psicologi, desideriamo principalmente ciò che abbiamo davanti agli occhi e non possiamo avere.
Prima passione: la musica. Niente soldi per i dischi (all’epoca c’erano gli LP in vinile)? Con il primo stipendio mi sono comprata una chitarra. Una vera schifezza, ma chissenefrega? Nell’epoca hippie, tutti suonavano e tutti ti potevano insegnare a suonare, così le canzoni che volevo ho iniziato a scrivermele da sola. Lo studio: avrei voluto fare tante di quelle cose, ma i miei mi volevano per forza ragioniera. Ho mollato la scuola e ho imparato di nascosto, sui libri, tutto quello che mi fosse possibile imparare. Lingue, scienza, filosofia, storia… anche per la patente ho studiato di nascosto.
Costruire: bricolage. I primi mobili di casa mia li ho costruiti io.
Scrivere: e quello che scrivevo doveva essere assolutamente bellissimo, perché sarebbe stato quello che avrei dovuto leggere io.
Medicina ed erboristeria: a parte le vaccinazioni di legge, entrambi i miei figli non hanno mai visto un pediatra. Quando non hai soldi neanche per una scatola di aspirina, anche le medicine te le devi fabbricare da sola e sperimentare su te stessa prima di darle ai bambini.
Viaggiare, a qualunque costo: perché, come dicevo prima, i miei non mi facevano mai uscire di casa. Le mie vacanze, per una decina di anni, sono state vagabondare per tutta l’Europa con la sola spesa della benzina, dormendo e mangiando in macchina, lavando le magliette e i jeans nel fiume e facendo la doccia con l’acqua scaldata al sole sul tetto della macchina durante le soste, lungo qualche fiume. Se avevi coraggio, una volta, nell’epoca hippie, si poteva fare… Adesso, credo sia troppo pericoloso; ma la voglia di ricominciare è fortissima. Mi sa che quando smetterò di lavorare, ripartirò. Mi troveranno morta sotto un ponte, ma vuoi mettere il divertimento?… Se questo è il prezzo, lo accetto in pieno.
La musica, per me è sempre stata l’eros più profondo. Uno dei miei ricordi più belli è dato da una notte passata a suonare con un certo Davide, incontrato durante un festival musicale. Due chitarre, due cuori. Mai più rivisto. Ma abbiamo suonato i Pink Floyd fino al mattino.
Un giorno (avevo solo diciassette anni), su una rivista musicale, trovo il bando di un concorso indetto dalla Baby Records: “Se non sei un cane e hai qualcosa di nuovo da dire, vieni e faccelo sentire”. I vincitori avrebbero inciso gratis. Avevo già scritto tante belle canzoni… Ok, mi dico! Vado, e mi fanno incidere! Giuro: non era presunzione ma ero certa delle mie capacità e potenzialità. Con la mia ingenuità di ragazzina e la mia “chitarretta”, schifosa col manico storto, vado e gli faccio ascoltare qualcosa. C’erano i fratelli La Bionda, come giudici; cantanti molto in voga all’epoca. Duemila partecipanti. Chi rimane, alla fine? Io e un certo Enzo Ghinazzi, passato poi alla gloria col nome d’arte di Pupo. I La Bionda mi chiesero come caspita facessi a suonare con quello schifo che avevo in mano, e risposi loro col massimo candore che non potevo permettermi altro… Mi hanno accompagnato in un bellissimo negozio di articoli musicali e mi hanno regalato una chitarra favolosa, che ho ancora adesso e venero come una santa reliquia.
Ho inciso “Il mondo alla rovescia”, dieci canzoni. Era il 1977. Ma il mercato, di cantautori impegnati, ai tempi, era stracolmo. Mancavano, invece, cantanti per bambini; Cristina D’Avena non esisteva ancora, e volevano me per quella fascia di mercato. Anche perché, di filastrocche, potevo sfornarne anche cinque o sei al giorno con una facilità estrema. Ma non ho accettato. Cantavo cose impegnate alla De Andrè, che vado a cantare, i Puffi? Ma per favore!
Mi sono divertita, ci ho guadagnato una bellissima chitarra, ma la cosa è finita lì. È stato un bel gioco, e basta.
Mi sono sposata incinta per andarmene di casa, sposata coi vestiti che avevo addosso e basta. Sposata con un disgraziato, geloso e violento, pur di andarmene: una vita di stenti e d’inferno. Soldi per i libri non ce n’erano, dovevo pensare al bimbo, e si faceva fatica perfino a fare la spesa. E quando il mondo dove vivi non ti piace più, ne inventi un altro; le favole che ti racconti la sera per addormentarti e non pensare che non hai mangiato. I libri che volevo, ho iniziato a scriverli da sola. La storia che avresti sempre voluto leggere e nessuno ha mai scritto.
Il tempo passa. Divorzio dal primo disgraziato e ne trovo uno peggiore. Io continuavo a scrivere. I figli sono diventati due. I lavori che ho fatto per sopravvivere sono diventati mille. Parrucchiera, cartomante telefonica, vendita porta a porta, baby sitter, dog sitter, stiratrice, cuoca a domicilio, lavori di bricolage domestico, autista privata, ricamatrice, stiratrice, ripetizioni ai ragazzi delle medie, badante, spesa a domicilio e tanti altri. Poi tornavo a casa e spaccavo la legna per la stufa, sbiancavo i muri, costruivo i mobili con sega, martello, cacciavite e Black e Decker; ho messo insieme un impianto elettrico, e durante tutto questo ho cresciuto i figli.
I romanzi scritti sono diventati nove. Mai fatti vedere a nessuno, perché gli editori, se sono scritti a mano, non li vogliono.
Quattro anni fa ho trovato un posto come badante presso la suocera di un architetto. Un giorno questi mi dice che, per principio, non legge libri scritti da donne, in quanto li trova troppo melensi e sdolcinati. Gli porto uno dei miei lavori e gli dico: “Bene, leggi questo, l’ho scritto io”. Nonostante fossero più di quattrocento pagine scritte a mano, l’ha letto d’un fiato. Poi mi ha regalato un vecchio computer che teneva in montagna e mi ha detto: copialo e presentalo a qualcuno. È veramente bello.
La mia casa è sempre stata aperta a tutti: belli e brutti, santi e dannati, galantuomini e malfattori. Le cosiddette persone “perbene”, appena possono, cercano di fregarti. Brutti, dannati e malfattori… a sorpresa si sono rivelati personaggi di un’umanità sconfinata. Tutti si sono fatti in quattro per aiutarmi, in qualunque situazione difficile mi trovassi. Era giusto darne testimonianza scritta, debitamente romanzata. Un inno ai bassifondi e alla gente semplice che vive ancora di valori veri.
Perché succede questo? Credo dipenda dal fatto che nella società “perbene” la gente cresca con l’idea di primeggiare a qualunque costo, anche se a suon di imbrogli, colpi bassi e corruzione. Il profitto è l’unico valore che conti, e le persone sono solo da sfruttare. Nella dura vita dei bassifondi e delle periferie degradate, al contrario, se non c’è collaborazione, cooperazione e mutuo soccorso non si sopravvive. La dignità umana riprende senso e, l’amicizia, fare concretamente qualcosa per il tuo prossimo, è il primo valore. I miei libri rispecchiano fedelmente questa lezione di vita. I cattivi non sono poi così cattivi, e i buoni non sono poi tanto buoni. Niente è come sembra. Tutto è da riscoprire, un tassello dopo l’altro.
Scrivo di fantascienza e fantasy, ma i miei lettori si sono accorti che le storie che racconto potrebbero essere ambientate in qualunque luogo e in qualunque tempo e non ci sarebbe nessuna differenza. La trama dei miei romanzi? Non ne parlo mai, perché alla fine la trama è sempre quella; con contorno diverso, ma sempre la stessa: gente che si trova nelle peste fino agli occhi e deve cavarsela contando solo sul cervello, sulla fantasia e sulla capacità di relazionarsi col prossimo stringendo amicizie e alleanze impossibili. Che sia nello spazio, nella foresta, nel passato o nel futuro, non cambia nulla. Cambiano i nomi, i luoghi e i tempi, ma il succo è sempre quello.
Erika Corvo
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