Laura Latini: “Leggere e scrivere, un piacere e un modo per imparare a riflettere”
Salve, mi chiamo Laura Latini Sono nata a Venezia ed ora vivo nella vicina Mestre Felicemente sposata, ho due figli e due nipoti, ai quali sono molto...
Ciao, mi chiamo Clara Bartoletti e scrivo da quando ho imparato a capire quando fosse emozionante usare la penna per descrivere quello che pensavo.
Le mie prime vittime sono stati i compagni di scuola. Li descrivevo nei miei racconti avventurosi e già allora riuscivo a tirar fuori le loro caratteristiche psicologiche: rivedendosi come in uno specchio si ammutolivano di stupore. Questa è stata un’arma a doppio taglio perché se una parte si accresceva la mia popolarità quest’ultima era vista in modo non particolarmente benevolo. Come fossi una sorta di ficcanaso. Devo ringraziarli però di essere stati genuini: in questo modo ho potuto affinare la mia birbantesca predilezione nello scavo psicologico che mi ha permesso di inventarmi di conseguenza storie molto variegate.
Nel 1990, forte del fatto che ben dodici racconti fossero stati pubblicati dalla rivista a tiratura nazionale Windsurf Italia, decisi di pubblicare la mia prima opera con una Casa Editrice locale che si rivelò un’autentica fregatura. Spesi molte lire in cambio di fuffa, e questo mi bloccò a livello creativo. Decisi di non scrivere più ma come molti sanno la penna è come una droga e ogni tanto una dose andava fatta. Però rimaneva tutto nascosto nel famoso cassetto ad ammuffire.
Nel 2002 presentai il racconto “Kea” ad un concorso indetto a Viareggio in un piccolo circolo culturale e mi piazzai seconda. Ma non avevo ancora motivazioni valide per pubblicare. Una mia amica però mi suggerì un’idea che ancora oggi considero fantastica: pubblicare racconti con l’intento di devolvere i ricavi in beneficenza. Lei mi disse praticamente: se non piaci almeno avrai fatto qualcosa di buono, se piaci al pubblico rimarrà doppiamente soddisfatto (il racconto Luca & Alessia, tratto da Kea, ha vinto il premio della critica al concorso Terre di Liguria nel 2012 e questo mi ha gratificata) .
Così è stato. Ho devoluto i ricavi all’ospedale Mayer di Firenze e poi ho iniziato un romanzo. La richiesta è stata fatta dai miei lettori: basta racconti. Ci vuole una storia completa che abbia un inizio e una fine. Bell’impresa. Un romanzo. Una sera mi sono messa davanti al computer e ho iniziato un racconto. Man mano che scrivevo venivano fuori idee e combinazioni: un’emozione che aveva dell’incredibile. La storia filava, partita in sordina in modo apparentemente privo di senso logico si srotolava fra le pagina assumendo una concreta visione. I personaggi poi erano come li volevo: Salingeriani nel modo di parlare buttati in atmosfere cupe e surreali di posti reali ma appannati e mai definiti.
Con April Rose (questo è il romanzo, oggi in cartaceo e in ebook) in mano decisi di mandarlo a diversi editori. Un titolare di una discreta casa editrice mi fece un “pippone” al telefono sulla drammaticità della situazione dell’editoria italiana che alla fine quasi mi venne in mente di proporgli una colletta per salvarlo dal fallimento (dopo tre anni ho visto che grazie a Dio è ancora vivo e vegeto e pubblica scrittori di una certa fama, quindi tranquilli). Un altro mi rispose che April Rose non era inseribile nelle loro collane editoriali (e li capisco perché non ci sono vampiri in April Rose, tanto meno maghetti né uomini sfumati di grigio), mentre le altre non si sono neppure degnate di un rifiuto standard tanto caro a Snoopy.
Quindi sono approdata a Youcanprint. La differenza con i racconti di Kea, pubblicati con una semplice tipografia anonima, è il fatto che oltre al lavoro ben curato il romanzo avrebbe avuto il suo bel codice Isbn e la distribuzione su librerie on line, con la possibilità del formato ebook. Così ho mandato April Rose e me lo sono visto on line come avevo sempre desiderato. April Rose come successivamente 528 (cartaceo – ebook), hanno avuto bisogno di editing: dopo alcune revisioni adesso mi sembra siano abbastanza corretti per la lettura.
Ovviamente per la pubblicità mi sono dovuta organizzare: ho due blog, la pagina pubblica su Facebook, ho l’account Google e Twitter e ho fatto alcune presentazioni a TV locali, al mio Comune etc.
Il mio obiettivo non è la vendita fine a se stessa quando emozionare i lettori. Se un lettore mi dice le sue impressioni, anche negative, questo non può far altro che darmi la possibilità di migliorarmi. Con l’uso dei social ho fatto scegliere la copertina di 528 ai miei lettori. Ne ho messe 10 diverse on line e ho messo su un sondaggio: il binario nella nebbia è stato voluto da loro. Interagire con il proprio editore, scegliere i caratteri della copertina, l’impaginazione e tutto il resto è emozionante.
Leggo che l’editoria tradizionale spesso fa riscrivere i romanzi, taglia e cuce e questo solo per diventare un buon prodotto di marketing. Questo non è molto soddisfacente, anzi per alcuni versi è deprimente. Qualcuno scrive degli emergenti come sfigati narcisisti che autopubblicano spazzatura e che se nessuno li ha mai notati un motivo ci sarà. Personalmente credo fermamente che ogni artigiano dell’arte (che sia poeta o pittore etc) abbia una componente narcisistica ma che sia anche giusto che abbia la possibilità di farsi vedere. Di poter comunicare – e il web è la comunicazione in tempo reale – il suo pensiero. Se poi non piace, pazienza. Ma l’idea che tutto debba rimanere a vita in un cassetto, mi spiace, no.
Le parole sono pane dell’anima e della mente e farne buon uso non hai mai fatto male a nessuno.
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